GLI ULTIMI A UN PASSO DAL SOGNO: I NEW YORK KNICKS 1999

If I can make it there

I’ll make it anywhere

New York New York

La stagione NBA 1998/99 è una stagione particolare.

Per prima cosa è complesso anche solo iniziarla. Sì, perché a seguito delle complesse trattative tra associazione giocatori e associazione dei proprietari delle franchigie, si arriva a un punto morto, con conseguente lockout, cioè la serrata. Non si gioca quindi, senza un accordo tra proprietari e giocatori. E si rischia seriamente di saltare l’intera stagione. Che comincia, previo accordo grazie alla mediazione del commissioner David Stern, solo il 5 febbraio del 1999, di fatto con 3 mesi pieni di ritardo, riducendo il numero di partite per franchigia a 50.

Logo dei Knicks, la prima squadra nella NBA, sempre presente dal 1946

Inoltre la NBA è orfana del suo Re: nel gennaio 1999, il 13, Micheal Jordan annuncia il suo secondo ritiro.

Stagione di difficile lettura quindi.

Chi soffre particolarmente sono i New York Knicks.

Nonostante il palcoscenico importante, ossia New York, con un palazzetto storico, il Madison Square Garden, e nonostante siano l’unica franchigia NBA a essere nella lega dal 1946, anno della sua fondazione, sono una squadra decisamente perdente. Hanno vinto infatti solo 2 titoli, nei primi anni 70, grazie allo squadrone messo in piedi da Red Holzman, incentrato su Willis Reed, Bill Bradley, Walt Frazier e Dave DeBusschere, su 8 finali giocate. Ultima apparizione nel 1993/94, con un vantaggio per 3 a 2 bruciato, perdendo 4 a 3 contro gli Houston Rocket. Ultimo superstite di quella squadra è il capitano, il leader, Patrick “Pat” Ewing: un’hall of famer, ex membro del Dream Team, la mitica nazionale USA alle Olimpiadi di Barcellona ’92. È un concentrato di potenza e tecnica, forte in difesa. Durante la stagione si infortunerà, e in Knicks dovranno sopperire all’assenza del loro leader.

Già la stagione ’99 dei Knicks. Complessa. 

Latrell Sprewell con la divisa numero 8 dei Knicks

A trascinarli c’è un transfuga. È stato licenziato dagli Warrior, dopo che ha cercato di strangolare il suo allenatore, P.J. Carlesimo, venendo sospeso dalla lega per 2 anni. È Latrell Sprewell e New York è il palcoscenico adatto per lui: è il classico giocatore che sa come irrorare la partita con dello champagne, con giocate ad alto tasso di spettacolarità e talento. Un giocatore così a New York non si vedeva da tempo.

Nonostante Spree stia trascinando i Knicks, il record non è positivo e la società pensa addirittura di cederlo. Vorrebbero portare nella Grande Mela il più talentuoso giocatore uscito da New York negli ultimi anni: Stephon Marbury, detto Starbury, all’epoca giocatore dei Minnesota Timberwolves. La dirigenza allora pensa di sostituire l’allenatore coach Jeff Van Gundy: un genio, vecchia maniera. Ernie Grunfeld, presidente contatta, a metà marzo, Phil Jackson, ex allenatore dei Chicago Bulls di Michael Jordan, in quel momento disoccupato, ex giocatore dei Knicks: fu uno dei giocatori campioni NBA nel 1973, proprio con New York. La trattativa salta, il presidente e coach Van Gundy stringono un’alleanza e la squadra riesce, in extremis, ad agguantare l’ottava testa di serie.

I playoff sono tesi. I giocatori sono perennemente sull’orlo dell’infortunio, a causa della stagione estremamente compressa. Il primo turno pare un ostacolo insormontabile. I Knicks incontrano la testa di serie numero uno, i Miami Heat, in quella che è ormai una classica dei playoff ad est: è il terzo anno consecutivo, con una vittoria a testa. Negli anni precedenti le sfide sono state tese, violente e dure. Rissose.

Huston decide la serie contro Miami con il canestro sulla sirena di gara 5

Anche questa serie è dura e combattuta. Si arriva alla gara decisiva, la numero 5 per il primo turno. A 4 secondi dal termine Miami è sopra di un punto, palla nelle mani di New York, che affidano l’ultima speranza alla loro guardia, Allan Huston. Già in orbita nazionale, l’anno dopo farà parte della nazionale americana alle olimpiadi di Sydney, è in forte ascesa: gran tiratore da tre, forma una splendida coppia con Latrell Sprewell. 

Penetrazione di Huston, tiro a una mano in controtempo, palla che balla sul ferro. Sirena. Canestro. L’upset, l’eliminazione della prima testa di serie da parte dell’ottava è realizzata.

I Knicks non si fermano qua. Ci prendono gusto e abbrivio. Fanno quadrato, grazie anche all’esperienza di buona parte del roster. Spree e Huston, ad esempio, non sono affatto ragazzini: sono professionisti da 7 e 6 anni. In assenza di Ewing, che ormai è un veterano, con più di 10 stagioni NBA sulle spalle, c’è anche Larry Johnson, campione del mondo nel ’94 con team USA. C’è anche Charlie Ward. Oggi è diventato un predicatore ma, prima di decidere di entrare nella NBA, è stato un grande prospetto del football americano. Quaterback titolare a Florida State, è anche stato insignito dell’Heisman Trophy, il premio al miglior prospetto del football, assegnato ogni anno. In squadra c’è anche il giovane talento di Marcus Camby, che pare predestinato a prendere il posto di Ewing. Anche lo staff tecnico è di prim’ordine. Accanto a Van Gundy, oggi stimatissimo commentatore televisivo, arguto e acido il giusto, ci sono Brendan Malone, esperto vice a livello NBA, Don Chaney, ex campione NBA a Boston a fine anni ’60 e, soprattutto, Tom Thibodeau, esperto di difesa, che sarà anche al fianco di Doc Rivers sulla panchina dei Boston Celtics campioni 2008, prima di essere allenatore a Chicago e Minnesota, prima di tornare, da allenatore capo, ai Knicks nel 2020. Per fare bene insomma gli ingredienti c’erano e gli eventi della stagione uniti alla vittoria contro Miami hanno aggiunto gli ultimi ingredienti necessari: la convinzione e la voglia di vincere.

Le Due Torri di San Antonio, che hanno interrotto il sogno di New York

Sull’onda di ciò i Knicks spazzano via anche gli Atlanta Hawks, con un 4 a 0 senza repliche. In finale di conference poi regolano gli Indiana Pacers, una delle squadre più talentuose di fine secolo. Quello con Indiana è percepito come una sorta di derby dai tifosi newyorkesi. L’Indiana è uno stato fortemente contadino, con grandi estensioni di terreno coltivato, praticamente distese di campi di grano. Per questo gli abitanti dell’Indiana vengono considerati una sorta di cugini di campagna dai cittadini di New York. 

I Knicks rifilano un 4 a 2 ad Indiana, e per la prima volta l’ottava testa di serie va in finale NBA. Purtroppo il sogno si ferma alle porte del paradiso. Saranno i San Antonio Spurs a fermare la corsa dei Knicks. Sono troppo forti per i Knicks, che perdono 4 a 1. Si fondano sulle Twin Tower, le due torri, David Robinson e Tim Duncan. I due centri della squadra, probabilmente due dei più intelligenti giocatori di basket di ogni tempo. Non si tratta di mera intelligenza cestistica, ma di intelligenza assoluta: sono due intellettuali prestati al gioco. Robinson, finita la carriera, fonderà una scuola per giovani dotati, mentre Duncan sta mettendo a frutto la sua laurea in psicologia lavorando ancora nel mondo del basket, dopo essersi ritirato con 5 titoli vinti.

Se ce la fai a New York ce la puoi fare ovunque, dice la citazione iniziale. Purtroppo non è stato così. Molti hanno smesso di li a poco tempo, ad esempio Pat Ewing, dopo due esperienze lontano da New York, e Jeff Van Gundy. Ci hanno riprovato, i Knicks, affidandosi a Huston e Spree, ma il massimo risultato è stato arrivare in finale di conference. 

Vincere coi Knicks sembra impossibile. Quella del ’99 pare una cavalcata irripetibile. Per le condizioni esterne, vedi il lockout. E poi per l’alchimia che si è creata in quel gruppo, che ha saputo dimostrare che nelle giuste condizioni anche gli sfavoriti possono arrivare in paradiso. O quasi.

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