CONSERVATORISMO BRITANNICO

Il calcio è nato in Inghilterra, e fin qui lo sanno tutti. Come è possibile però che gli inglesi abbiano vinto un solo mondiale e null’altro se sono i padri del gioco?

Il problema è complesso, probabilmente risultato della mentalità isolana e conservatrice inglese, diffidente per natura per ogni innovazione proveniente da fuori delle isole britanniche.

BRASILE 1950: LA MORTE DEL CALCIO INGLESE

1950, Campionati mondiali. Primo campionato mondiale post bellico, si gioca in Brasile.

Per la prima volta, tra le partecipanti, c’è l’Inghilterra. I padri del calcio non hanno partecipato alle precedenti edizioni sostanzialmente per snobismo, essendo convinti che avendolo inventato loro il calcio, lo avrebbero sicuramente vinto loro.

Sir Stanley Matthews: primo pallone d’oro, nonostante un palmares veramente povero. Una sola F.A. Cup per lui, ma gli fece guadagnare l’appellativo di “Mago”, da parte di Churchill

C’è grande attesa in Brasile per vedere l’Inghilterra. La squadra è sicuramente forte. È impostata su Stanley Matthews, non ancora sir, futuro primo pallone d’oro della storia, che gioca esterno d’attacco, in difesa c’è Alf Ramsey, idolo di White Heart Lane, casa del Tottenham, uno dei primi difensori moderni, che non si limita a presidiare la porta ma partecipa anche alla fase offensiva. Assieme a Ramsey in difesa c’è Billy Wright, capitano del grande Wolverhampton degli anni 50. In attacco Stan Mortensen, compagno di squadra di Matthews nel Blackpool, giocatore di sicuro valore, anche se non è il classico centravanti d’area fisico che piace tanto agli inglesi. È comunque un gran goleador, è lui a segnare il primo gol degli inglesi nella storia del mondiale, uno dei 22 gol in maglia dei tre leoni (in venticinque presenze).

La prima partita, contro il Cile, è una formalità: due a zero per i britannici, uno per tempo.

È la seconda partita del girone a passare alla storia. Inghilterra contro Stati Uniti. Sulla carta è addirittura più facile del primo impegno. Gli inglesi si presentano privi di Matthews: caratteriale come solo i campioni sanno essere, è in aperta polemica con la Football Association fin da prima del Mondiale. Ha mandato una lettera, sostenendo che gli allenatori, a campioni come lui, non servano quasi a nulla, anzi facciano danni. Con gli Sati Uniti, addirittura, costringe il C.t. Winterbottom a sostituirlo: lui non vuole giocare contro gli ex sudditi. Il resto però sono giocatori di livello, professionisti: non dovrebbero avere problemi contro gli americani.

Joe Gaetjens portato fuori in trionfo dopo la fine del miracolo di Belo Horizonte

Come già oggi, negli Stati Uniti, il calcio non ha sfondato. Ci sono state varie leghe che ci hanno provato, a importare lo sport più popolare al mondo. Fino alla MLS, a partire dagli anni ’90 – primi anni 2000, il calcio non sfonderà negli USA, così è praticamente impossibile trovare dei giocatori professionisti negli Stati Uniti. Infatti la nazionale americana del 1950 è composta da dilettanti. Sono, in pratica, un gruppo di amici, di origine italiana e britannica (prevalentemente scozzese, come il C.t. Jeffey). Giocano in prevalenza nei circuiti calcistici locali di New York e Saint Louis. Così come il centravanti: Joe Gaetjens, originario di Haiti, trasferitosi a New York per studiare economia. Sarà l’eroe di giornata.

La partita segue il copione prestabilito: gli inglesi attaccano, creano occasioni una via l’altra: dopo dodici minuti avevano già calciato in porta ben sei volte, altre tre palle gol le ebbero tra il 30’ e il 32’. Per gli americani un solo tiro in porta, al 25’. 
Tutto cambiò però al trentasettesimo minuto del primo tempo: Bahr, difensore USA, calciò un diagonale dal limite dell’area, sembra destinato alle braccia del portiere inglese Williams, ma in mezzo all’area, circa all’altezza del dischetto del rigore, Gaetjens impatta la palla di testa in tuffo, spiazzando il portiere: uno a zero per gli Stati Uniti.

Da questo momento l’assedio inglese si fa molto più pesante, gli americani reggono l’urto grazie al loro portiere Borghi, che salva una palla sulla linea all’82’. Gli inglesi reclamano il gol, ma per l’arbitro italiano Dattilo il pallone non ha superato la linea. Il morale dei sudditi di sua maestà cala, e gli americani hanno l’occasione per il due a zero, con Ramsey che salva sulla linea. 

Al fischio finale gli americani vengono portati in trionfo fuori dallo stadio di Belo Horizonte: un trionfo, che porterà all’eliminazione (dopo un’altra sconfitta, contro la Spagna) dell’Inghilterra. I cui quotidiani, dopo aver frainteso il risultato, pensando in un 10 a 0 per i tre leoni, sono usciti con titoli funerari, quasi da necrologio.

IL CONSERVATORISMO INGLESE

Quale fu la causa della pessima figura inglese alla prima partecipazione ai mondiali? Si può derubricare il tutto a sfortuna?

Mi sento di poter dire di no. 

I problemi del calcio inglese, ancora oggi, sono dovuti a un rigido conservatorismo che si trascina fin dagli albori della storia del calcio.

A ben guardare sono contenuti nella lettera di Stanley Matthews alla F.A.: considerare gli allenatori quasi un danno è tipico della mentalità dei calciatori inglesi da metà 1800 fino almeno al primo dopoguerra. La stessa mentalità per cui per molti anni, dopo l’”invenzione” del calcio è stato difficile accordarsi, tra le varie zone d’Inghilterra, sulle regole da adottare. È stato difficile persino far accettare un arbitro ai giocatori inglesi: d’altronde un gentil uomo sa se ha fatto fallo o no. 

Herbert Chapman, primo innovatore del Calcio inglese

Questa mentalità chiusa, isolana, che considerava a malapena il resto del mondo. E che ha reso la vita praticamente impossibile agli innovatori. E di innovazioni ce ne sono state. Una su tutte, tattica. 

Una volta che il calcio aveva preso, quanto meno a livello regolamentare, una fisionomia definita, lo schema adottato fu il 2-3-5. Questo schieramento rispondeva alla mentalità legata alla naturale supremazia del più forte, unita anche alla voglia di spettacolo. Con una delle tante evoluzioni della regola del fuorigioco, le partite di calcio si trasformarono in tonnare con venti giocatori in circa trenta metri. La media gol della prima divisione inglese si abbassò a poco più di due gol, troppo poco per l’epoca. Herbert Chapman, allenatore del Huddersfield prima e dell’Arsenal poi, intuì che continuare ad attaccare a testa basta non era una soluzione intelligente. Iniziò a spiegare ai suoi giocatori che poteva essere utile anche dare spazio alla squadra avversaria, in modo da obbligarli ad uscire dalla loro metà campo e creare spazio per andare a rete. Per fare ciò capì che il 2-3-5 non era uno schema che garantiva abbastanza copertura difensiva. Violando uno dei “comandamenti” fondamentali, che riteneva poco onorevole difendersi, inserì un terzo difensore, arretrando poi uno degli attaccanti a centro campo.

L’Ungheria segna il terzo gol a Wembley contro l’Inghilterra. Nemmeno la batosta per 6 a 3 convincerà gli inglesi a modernizzarsi

Lo schema che nacque divenne noto come W-M, sostanzialmente un 3-2-2-3: tre difensori, due mediani, due attaccanti interni (oggi si direbbe mezze punte o trequartisti), due ali e un centravanti. Con i dovuti tempi, vista il conservatorismo e visto che il W-M fece dell’Arsenal una squadra vincente, il W-M divenne lo schema standard per tutte le squadre inglesi. Da metà anni ’30 fino, praticamente, agli anni ’60. Tutto ciò nonostante il resto d’Europa e del mondo stesse sviluppando suoi convincimenti tecnico-tattici. Il W-M divenne un dogma, irrinunciabile.

Non furono sufficiente a cambiare i convincimenti britannici nemmeno la sconfitta con gli USA e la successiva sconfitta con la Spagna. Solo la doppia batosta contro l’Ungheria tra il ’54 e il ’54 cominciò a mutare qualcosa nella mentalità britannica. Gli ungheresi, figli della tradizione danubiana, fatta di tecnica e inventiva, con possesso e circolazione di palla come armi, fecero rendere al meglio una generazione di fenomeni capitanata da Ferenc Puskás, con Nandor Hidegkuti ad agire come centravanti atipico, che arretrava a centrocampo a prendere palla creando occasioni per i suoi compagni. Schierati con un 4-2-4, con giocatori liberi di muoversi sul campo, schiantarono la nazionale dei tre leoni per 6-3 a Wembley nel ’53. Nella rivincita dell’anno dopo, gli inglesi ne presero addirittura 7, segnando solo il gol della bandiera. 
A rallentare il cambio obbligato di mentalità degli inglesi fu la vittoria del Wolverhampton di Wright, in campo sia nella sconfitta con gli USA che nella doppia batosta contro l’Ungheria, contro l’Honvéd, squadra in cui militavano buona parte dei giocatori della grande Ungheria.

Alf Ramsey, CT inglese dal 1963 al 1974, portò la nazionale dei tre leoni a un titolo mondiale e un terzo posto europeo, migliori risultati per gli inglesi

Ma il momento del cambio doveva arrivare. Fu un altro dei membri della nazionale del 1950 ad esserne protagonista: Alf Ramsey, diventato Ct inglese nel 1963.

Non fu comunque un percorso facile. Ad esempio dovette combattere con la Football Association, per scegliere lui stesso i suoi giocatori. Sì, perché un altro dei limiti del calcio inglese è di orgine politica. La F.A. infatti voleva mantenere sotto controllo ogni aspetto della nazionale, così l’allenatore, Witnerbottom, il primo della storia britannica, si vedeva presentare la lista dei convocati da una commissione tecnica della F.A: prima di assumere Winterbottom, la nazionale inglese non ha mai avuto un vero e proprio allenatore. D’altrone lo schema era già stabilito, W-M, bastava semplicemente selezionare i migliori per ruolo no?

Ramsey, conscio che il W-M aveva fatto il suo tempo e che, comunque, nessuna squadra campione del Mondo ha mai giocato con il W-M puro, al massimo (Italia e Uruguay su tutti) con adattamenti locali, dovette imporsi per riuscire gradualmente ad arrivare a uno schema che fosse più adatto ai tempi moderni e che permettesse di affrontare al meglio le altre nazionali.

Ci riuscì nel 1966: non a caso, complice il mondiale casalingo, fu l’unico trionfo della nazionale dei tre leoni.

Che ripiombò nel conservatorismo. Motivo per cui, probabilmente, da allora hanno ottenuto molto poco a livello di nazionali, nonostante le loro squadre di club siano riuscite a dominare l’Europa calcistica.

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