Written by 25 gennaio 2024.
Zvonimir Boban, un invidiabile curriculum da ex calciatore, campione d’Europa con il Milan di Capello e medaglia di bronzo al Mondiale con la neonata Croazia nel 1998, si dimette dal ruolo di “Head of Football” della UEFA, in polemica con il presidente che lo ha nominato, lo sloveno Alexander Ceferin.
La decisione di Boban nasce a seguito di una modifica dello statuto UEFA, proposta dallo stesso Ceferin, che permetterebbe a quest’ultimo di ricandidarsi alle elezioni presidenziali della Federazione Mondiale del 2027, nonostante a quel punto Ceferin avrebbe esaurito il limite massimo previsto dei tre mandati.
Lo sloveno, che aveva egli stesso introdotto questa regola, ne promuove una nuova interpretazione: la norma avrebbe dovuto venire applicata a chi fosse stato eletto al ruolo di presidente dopo la sua introduzione, non prima.
Nulla di nuovo sotto il sole, insomma: per l’ennesima volta un dirigente, più o meno sconosciuto, si siede su una delle poltrone più importanti del calcio, grazie a roboanti promesse di innovazione e di tutela del gioco (poi puntualmente disattese), per poi aggrapparsi a quella poltrona senza mai lasciarla, costi quello che costi.
Come può la Federazione che organizza la maggiore competizione per Club al mondo, la Champions League, svolgere a pieno il suo ruolo, in queste condizioni?
Da quasi vent’anni, la UEFA è vittima di presidenti che hanno appreso fin troppo bene la lezione del peggior dirigente calcistico della storia: João Havelange.
A partire dalla data del suo insediamento il dirigente brasiliano, a capo della FIFA dal 1974 al 1998, ha tracciato la via per molti suoi successori. Havelange, infatti, ottenne la sua elezione al massimo organo calcistico mondiale anche grazie alla promessa di estendere l’accesso alle maggiori competizioni calcistiche internazionali ai Paesi che, al termine dell’epoca colonialista, avevano appena ottenuto la propria indipendenza dalle potenze coloniali europee.
Un simile schema si è replicato con colui che ha dato il via al declino della UEFA: Michel Platini. Parlo di declino perché la UEFA si è dimostrata completamente incapace di gestire tutta una serie di movimenti, figli della modernità e della globalizzazione.
Anzitutto Platini si è dimostrato prigioniero delle sue promesse. Avendo ben appreso la lezione di Havelange ed avendone replicato il modello su scala continentale, l’ex numero 10 francese si è trovato a dover forzatamente aumentare il numero di squadre partecipanti alle varie competizioni organizzate dall’UEFA. Ciò ha dato il via ad un’ampia opera di ristrutturazione delle competizioni per Club, così da creare quei posti, dei quali prima non v’era bisogno, per le squadre provenienti da Paesi di nascita recente: in sostanza si tratta delle squadre dell’ex blocco sovietico, formazioni in pesante ritardo a livello tecnico, avendo loro conosciuto il professionismo solo a partire dai primi anni ’90.
Quelle di Platini sono scelte che appaiono in totale controtendenza rispetto a quelle messe in opera dal suo predecessore. Lennart Johansson aveva sì allargato il numero di squadre partecipanti alle varie competizioni, ma si era premurato di assicurare un certo sbarramento tramite i turni preliminari, in modo da mantenere il livello delle competizioni il più alto possibile.
La Champions League aveva così arricchito la sua leggenda, diventando, a detta degli stessi calciatori che quella leggenda hanno contribuito a crearla, la competizione calcistica più difficile in assoluto.
Ne aveva fatto però le spese la terza competizione europea, l’affascinante Coppa delle Coppe, che era riservata ai vincitori delle Coppe Nazionali, dirottate nella Coppa UEFA prima e nell’Europa League poi, col risultato di far perdere di interesse e di valore anche le stesse Coppe Nazionali che ne garantivano l’accesso.
Solo per quanto riguarda la Champions League, nell’ottica di mantenere le promesse alle Federazioni minori, la riforma Platini aveva invece suddiviso i preliminari tra le “piazzate” provenienti dai maggiori campionati europei, e campioni provenienti da campionati di nazioni con un ranking più basso. Questo sistema ha permesso a squadre di medio-basso livello (ad esempio i ciprioti dell’Apoel Nicosia, oppure la squadra azera del Qarabag), tendenzialmente dell’est Europa o che comunque militano in campionati di basso livello tecnico, di partecipare alla massima competizione per club europei, andando sovente a formare gironi per niente all’altezza delle precedenti edizioni della Champions League.
Se l’allargamento di Champions ed Europa League ha avuto contorni più che altro folkloristici (visto che le piccole squadre dell’Est hanno avuto-e continuano ad avere-vita breve di fronte all’imparagonabile preparazione tecnica e alle maggiori disponibilità economiche dei top club europei), del grottesco ha avuto l’allargamento del Campionato Europeo riservato alle Nazionali.
A partire dal 2016, infatti, le squadre partecipanti alla fase finale del Campionato Europeo sono diventate 24. Non ci sarebbe nulla di strano (nel tempo la competizione continentale per Nazionali aveva conosciuto un costante aumento del numero di squadre partecipanti, figlio anche questo del discioglimento del blocco sovietico prima e di quello della Jugoslavia poi), se non fosse che alle qualificazioni partecipano 53 squadre. In sostanza, ai blocchi di partenza si sa già che circa il 50% delle squadre prenderà parte alla fase finale, togliendo ai gironi di qualificazione buona parte della propria ragion d’essere.
Lungi da me voler fare dello snobismo. Se questo allargamento fosse figlio di un aumento generalizzato del livello del calcio europeo, per quanto mi riguarda questo sarebbe ben accetto. Il punto è che non solo non esiste alcun miglioramento generalizzato, ma i motivi di questo allargamento sono le solite promesse da mantenere, fatte per ottenere i voti necessari all’elezione al soglio di presidente UEFA, come nella migliore tradizione mafioso/democratica del voto di scambio. Poltrona che l’ex fantasista della Juventus probabilmente ancora oggi occuperebbe, se non fosse stato travolto dal FIFA gate del 2015, scandalo disastroso sul quale tornerò spesso, in quanto a mio avviso causa principale di buona parte dei mali che affliggono il calcio.
Con i dirigenti delle società più attenti a lotte politiche (spesso specchio di conflitti di ben altro tipo) che a simili problematiche, il calcio ha subito profondi cambiamenti, comprese periodiche bolle speculative che hanno portato il costo dei cartellini e gli stipendi dei calciatori a lievitare.
Anche questa dinamica ha preso il via sotto la presidenza Platini. È lui infatti ad aver introdotto il controverso meccanismo del fair play finanziario, che voleva essere un freno da mettere agli Sceicchi arabi, entrati a suon di miliardi nel calcio europeo proprio durante la presidenza Platini, ma che invece si è trasformato in una enorme barzelletta. Temuto e rispettato da quasi tutti i Club d’Europa, tranne dagli unici che era nato per limitare.
Non che con la caduta di Platini le cose siano migliorate molto.
Dopo un anno di presidenza ad interim, il nuovo presidente eletto è stato Aleksander Čeferin. Fino alla sua elezione (2016), lo sloveno era Presidente della Federazione del suo Paese. Dopo un primo mandato passato piuttosto in sordina, è sorto alle cronache per essersi erto strenuo oppositore della Superlega, il campionato privato promosso dai maggiori Club europei. Va detto che qualche ombra è nata anche sulla sua figura, visto che nel 2021 (curiosamente lo stesso anno in cui veniva lanciata la Superlega) venne accusato da un giornalista suo connazionale di aver falsificato il proprio curriculum, al fine di potersi candidare a presidente UEFA.
Sebbene la figura dello sloveno sia legata al (presunto) inasprimento del fair play finanziario, l’affaire Superlega ci da la possibilità di iniziare ad introdurre un altro grande tema: il rapporto tra le grandi Federazioni e le istituzioni politiche, nazionali e transnazionali.
La UEFA si è mostrata infatti del tutto incapace anche di gestire le decisioni delle corti europee, che pesantemente hanno influito, e probabilmente ancora influiranno, sul pianeta calcio.
La prima è stata la sentenza Bosman. Senza entrare troppo nel dettaglio, visto che affronterò il tema più approfonditamente in futuro, la Bosman ha eroso il potere contrattuale delle squadre, aumentando quello dei giocatori (e fin qui non ci sarebbe nulla di male, con il giusto equilibrio), e concedendone a figure che hanno acquisito sempre più potere, ossia i procuratori. Questo cambiamento ha fortemente inciso sui costi che le società devono sostenere per gli ingaggi dei calciatori, sia sotto un punto di vista di stipendi sia di costo dei cartellini, entrambi esplosi. Inutile dire che i bilanci delle società ne sono usciti demoliti, vista la palese insostenibilità di certe cifre.
Parimenti inutile è stato il tentativo di Ceferin di inasprire il fair play finanziario, visto che chi ne ha la possibilità ha trovato da tempo il modo di aggirarlo. Ne è un esempio il passaggio di Neymar dal Barcellona al PSG, con il giocatore che ha ricevuto dal Qatar i soldi necessari (400 milioni di euro) a pagare la clausola rescissoria presente nel suo contratto con i Blaugrana, firmando poi con i parigini, de facto da svincolato, un contratto faraonico. Quei 400 milioni, nonostante provenienti dallo stesso fondo proprietario del PSG, non sono pesati sulle casse del club francese nemmeno per un euro, visto che erano a saldo di un contratto che faceva dell’attaccante brasiliano un testimonial del Mondiale di Qatar 2022.
Questo è solo uno degli stratagemmi utilizzati per bypassare il fair play finanziario, con l’UEFA inerme e incapace di mettere un freno, e con la situazione ulteriormente aggravata dal fatto che quei 400 milioni immessi di colpo nel mondo del calcio hanno a loro volta generato una bolla speculativa che ha fatto schizzare alle stelle il valore dei cartellini, indipendentemente dal reale valore dei calciatori.
Il rapporto tra PSG e Ceferin si è poi andato rinsaldando dopo il 2021, visto che i parigini si sono schierati contro la Superlega, per via di interessi quasi certamente extra calcistici.
La nascita della stessa Superlega, per altro, non è stata del tutto scongiurata, visto che nel dicembre 2023 la Corte Europea ha dichiarato illegittime le eventuali squalifiche nei confronti dei Club minacciate a più riprese da Ceferin come punizione per la partecipazione alla Superlega, dato che si configurerebbero come un abuso di posizione dominante da parte di UEFA e FIFA, le quali operano in regime di monopolio.
Un vero e proprio schiaffo, che erode il potere della Federazione continentale, mettendo sotto i riflettori quanto la UEFA come la conosciamo oggi sia un’organizzazione del tutto anacronistica.
Questo articolo non può avere una vera e propria conclusione: apre troppi capitoli da affrontare con il giusto spazio, tra cui quello dello sportwashing, di cui il PSG è stato strumento più o meno occulto negli ultimi anni.
Di sicuro c’è una cosa: se la Superlega dovesse effettivamente vedere la luce, sarebbe un vero e proprio fallimento, forse definitivo, della UEFA e del Presidente che vi si è opposto, quell’Aleksander Čeferin che, eletto per dare avvio a un nuovo corso nel mondo del calcio, che finirà probabilmente per essere solo l’ultimo ad aver tentato di ergersi a monarca assoluto del pallone, senza riuscirci.