LA FATAL VERONA: UNA TRAGEDIA ROSSONERA

“La trama della vita è un tessuto misto, bene e male mescolati insieme.”

William Shakespear
Il Bardo, William Shakespear

Verona. Città borghese ma assai vivace incorniciata da colline e bagnata dalle tumultuose acque del Brenta. La città dell’amore, grazie a William Shakespear, il Bardo, che vi ambienta una delle sue tragedie più famose, Romeo e Giulietta.

Lo stesso Shakespear, che spesso ha raccontato l’Italia dei campanili, divisa e litigiosa, che fosse vissuto nel XXI sec. avrebbe potuto sceneggiare la tragedia calcistica in due atti andata in scena nella città attraversata dal fiume Brenta.

Una tragedia che ha per protagoniste due squadre. Una è l’espressione della borghesia della vivace città veneta, involontaria protagonista di questa tragedia in due atti, che per due volte si trova sul percorso della seconda verso la vittoria. L’altra è nata nobile, ma è diventata “operaia” dopo la guerra. Ma non ha smesso di frequentare i salotti buoni, soprattutto a livello europeo, a voler ricordare a tutti che nobili si nasce e si resta.

Ad eseguire il copione da altri scritto, due generazioni di una famiglia, che legherà indissolubilmente il suo nome a questa tragedia. Lo scenario è lo stadio Bentegodi, di Verona.

ATTO PRIMO

Il Milan è primo in classifica, resta da giocare l’ultima giornata di campionato. Anche se il vantaggio sulle inseguitrici Juve e Lazio è di un solo punto, il destino del campionato è nelle mani dei rossoneri: basta vincere a Verona. 

 20 maggio 1973. L’autostrada Milano-Venezia assiste a un biblico esodo di tifosi Casciavìt, cacciavite in dialetto milanese. Direzione Verona, stadio Bentegodi. 

Il Golden Boy e il Paron

Il Milan poggia su due colonne portanti. Una in campo: Gianni Rivera, il golden boy, senza dubbio uno dei più forti fantasisti italiani di ogni epoca. L’altra colonna, in panchina. Il Pàron, Nereo Rocco. Il saggio e bonario padre-padrone del Milan, che da buon triestino ama il vino. Ha già vinto parecchio ma vincere questo scudetto avrebbe un sapore del tutto particolare. Sarebbe il decimo che, in dote, porterebbe la “stella” da aggiungere al simbolo della squadra.

È vero che basterebbe vincere a Verona, ma il Milan ci arriva stanco, molto stanco, forse troppo. Appena quattro giorni prima il Diavolo era di scena a Salonicco. Avversario il Leeds, per la finale della defunta Coppa delle Coppe. Uno a zero, e ennesimo trofeo nella bacheca del Milan. Ma la partita e il viaggio hanno prosciugato le energie degli uomini di Rocco. Che spera in un posticipo della partita. Ci prova il presidente rossonero Albino Buticchi: chiede ad Artemio Franchi il posticipo. Picche risponde il presidente federale. D’altronde, giustifica il fiorentino (c’è sempre un fiorentino in un’opera teatrale ambientata in Italia) il Milan è troppo più forte del Verona, che bisogno c’è di un rinvio? 

Il Bentegodi è praticamente rossonero, sembra di giocare a San Siro. Questo scatena l’orgoglio della squadra di casa, che si ribella al ruolo di agnello sacrificale. Basteranno però trenta minuti per infrangere i sogni milanisti. Tre a zero a fine primo tempo, cinque a tre il risultato finale a favore dei padroni di casa.Sulla scena di questa tragedia, irrompe a pieno titolo un altro protagonista. L’arbitro Concetto Lo Bello. La sua direzione è contestata. Rocco e altri dirigenti milanisti presenti in panchina verranno cacciati a gara in corso dall’arbitro siracusano, che, poche settimane prima, ha anche cacciato Rivera in una partita contro la Roma.

5 a 3 per l’Hellas Verona. Dramma rossonero, lo scudetto alla Juve

Lo scudetto alla Juve, che ha ribaltato la gara contro la Roma negli ultimi secondi, grazie a un gol di Cuccureddu. 

Lo stesso Rivera si esprimerà con parole dure, “Diciamo pure che la palla è rotonda, ma diciamo anche che rotola sempre dalla stessa parte”,  che gli costeranno quattordici giornate di squalifica. Stava parlando di un complotto, il golden boy? Forse. Non ci sono prove certe, ma indizi, mezze ammissioni, sospetti, sì quelli ci sono. Ad esempio si parla dal giovedì precedente la partita di un premio a vincere per i giocatori scaligeri. Il cui presidente Saverio Garonzi, è rappresentante FIAT per il triveneto. Bertini, giocatore della Roma, parla di soldi dati ai giocatori giallorossi per perdere contro la Juve e sfavorire la Lazio, acerrima rivale.

Non si saprà mai la verità. Può anche darsi che siano le spiegazioni a cui i tifosi del Milan si aggrappano per mandar giù questo boccone amaro. Una tragedia che, purtroppo per i tifosi rossoneri, si ripresenterà 17 anni dopo.

ATTO SECONDO

La rosa del Milan del 1989/1990

Galli, Tassotti, Baresi, Costacurta, Maldini, Donadoni, Ancelotti, Rijkaard, Evani, Gullit, Van Basten. Gli Immortali. La perfetta macchina bellica costruita, per volere di Silvio Berlusconi, da Arrigo Sacchi, il profeta di Fusignano. Undici uomini che sono sinonimo di rivoluzione, con il dodicesimo in veste di ideologo.

L’obbiettivo dichiarato del Milan per la stagione 1989/1990 è vincere tutto. I ragazzi di Sacchi sono già Campioni d’Europa in carica. Nella stagione che culmina con il mondiale italiano vogliono diventare campioni d’Italia, d’Europa e del Mondo. A fine aprile 1990 i rossoneri sono perfettamente in orario sulla tabella di marcia. Hanno ottenuto l’accesso alla finale di Coppa dei Campioni e di Coppa Italia. Si sono laureati campioni del Mondo a Tokyo, nel dicembre ’89. E, dopo una lunga rincorsa verso il Napoli di Maradona, sono primi in campionato. Per la verità il primato, solitario, temporaneo è sub judice. Sì, perché Atalanta-Napoli, giocata due settimane prima vede il risultato sul campo (0-0) sotto esame da parte della giustizia sportiva. Una monetina, lanciata dagli spalti, avrebbe colpito Alemao, centrocampista partenopeo. I sospetti già ci sono, dato che è ben visibile il massaggiatore napoletano fare gesti evidenti ad Alemao di rimanere a terra. Nonostante ciò viene applicato alla lettera il regolamento: dato che il giocatore è stato sostituito, due a zero a tavolino per l’Atalanta.

Il 22 aprile il Milan è di scena a Verona, Napoli a Bologna. Le due squadre sono a pari punti: già si immagina uno spareggio epico, Van Basten contro Careca, Maradona contro Gullit. 

Di nuovo il Milan arriva a Verona stanco per una dura trasferta europea. Il mercoledì i rossoneri hanno battagliato per centoventi minuti con i tedeschi del Bayern Monaco, per guadagnarsi la finale di Coppa Campioni. 

Il Verona però è traballante. Un piede è già nel baratro della Serie B. Se possibile il divario è ancora più ampio di diciassette anni prima, ma lo spettro del ’73 aleggia sul Bentegodi.

Senza fatica i rossoneri si portano in vantaggio. Segna Marco Simone, bomber di scorta, in campo in sostituzione di Gullit, in ripresa da un infortunio.

Lo Bello caccia Rijkaard dal campo

Ma riecco la famiglia Lo Bello. Anche sul palcoscenico di questo secondo atto, l’arbitro viene dalla famiglia sicula. È Rosario, figlio di Concetto. Nega due rigori al Milan. Poi inizia la ridda delle espulsioni. Il primo a essere cacciato è l’ideologo, il generale Sacchi. Lo seguono l’uragano del centrocampo rossonero, Franklin Rijkaard, che avrebbe sputato più volte in direzione dello sciagurato Lo Bello. Tocca poi a un altro olandese. Anzi l’Olandese del Milan. Un poeta stilnovista prestato al calcio: Marco Van Basten, il Cigno di Utrecht. Oltre alla solita dose di randellate, che ogni domenica riceve dai malcapitati difensori che dovrebbero imbrigliare il suo sconfinato talento (o almeno provare), non ha digerito un rigore non dato dall’arbitro siciliano. Nel frattempo però il Verona pareggia, prima di infrangere i sogni tricolore dei rossoneri al minuto ottantanove. Proprio in occasione del due a uno scaligero, Alessandro “Billy” Costacurta è l’ultimo rossonero essere cacciato. Protesta in maniera veemente, isterica secondo Lo Bello, ai danni del guardialinee, che non avrebbe visto un fuori gioco sul gol. 

Verona, dopo diciassette anni, è di nuovo fatale, per il Milan. Lo scudetto va a Napoli. La Gazzetta dello Sport, nel tradizionale pagellone del lunedì, rifilerà un sonoro 4 a Lo Bello, a testimonianza della pessima prestazione dell’arbitro siculo.

E partono le voci. Dal clan milanista è solo il presidentissimo Berlusconi a dirsi scandalizzato per un campionato secondo lui falsato, “abbiamo chiuso la settimana con una sentenza e un arbitraggio esemplari” dirà. Anche perché l’arbitraggio contemporaneo di tal Longhi a Bologna, dove è di scena il Napoli è a dir poco compiacente. Altri non parlano, si rischiano pesanti squalifiche. Girano voci incontrollate: pare addirittura che lo scudetto napoletano sia stato un regalo al consistente gruppo democristiano di Napoli. È una voce ed è praticamente impossibile da dimostrare.

Sull’onda di questo trauma, la macchina da guerra vacilla. Perde in casa la Coppa Italia con la Juve, gol di Galia. Ma esattamente come diciassette anni prima, sarà il teatro europeo, il preferito del Diavolo e dei suoi tifosi, a compensare la delusione italiana: un mese dopo Verona il Milan si confermerà campione d’Europa.

Forse solo il Bardo avrebbe potuto sceneggiare questa tragedia in due atti. Una tragedia fatta di un protagonista praticamente destinato alla vittoria, fermato da padre e figlio. Una tragedia fatta di voci, di sospetti e di sussurri.

Un trauma che i tifosi rossoneri, forse, non hanno ancora del tutto superato, anche a distanza di anni, se è vero che Gianni Rivera, dopo la seconda fatal Verona, ha sperato che Lo Bello non avesse figli maschi, per evitare di scrivere il terzo atto.  

Domenica Verona-Milan sarò di nuovo in scena al Bentegodi. Sarà il terzo atto? Sarà nuovamente Fatal Verona?

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