Non lo domeranno, il fiero leone fiammingo

De Vlaamse Leeuw, inno delle Fiandre

Un arazzo. Questo sono le Fiandre, regione belga, famosa per la produzione di queste opere d’arte in tessuto. Ma non solo. Per secoli sono state il motore del Belgio grazie alla produzione di tessuto, un particolare tipo di lino che ne porta il nome, ai commerci, grazie al porto di Anversa (oggi il terzo più grande d’Europa, per monte traffico), e alla birra, dato che il luppolo è la coltivazione principale della regione. 

Le Fiandre sono state anche teatro di numerose battaglie. Questa regione, ricca sotto ogni punto di vista, ha fatto gola a molti nel corso della storia. È stata una delle cause della guerra dei Cent’anni tra francesi e inglesi nel medioevo, ha fatto gola al Sacro Romano Impero, è stata parte dell’impero su cui non tramonta mai il sole, quello di Carlo V. Le Fiandre sono anche state teatro di sanguinose battaglie durante la Prima Guerra Mondiale: a Ypres, per la prima volta, sono state usate in combattimento armi chimiche, i così detti gas asfissianti. Da allora il gas mostarda, a base di cloro, prese il nome di Ipirite.

È nelle Fiandre che una delle unità più famose della storia militare, il Tercio spagnolo, voluto da Carlo V, scrisse parte della sua leggenda.

Le bandiere fiamminghe, elemento imprescindibile del panorama del Giro delle Fiandre

Ancora oggi, le Fiandre, tra la fine di marzo e i primi di aprile sono teatro di una vera e propria battaglia. Nulla di violento però, è una battaglia che si combatte in bicicletta, ma che sarebbe ben rappresentata da uno dei passaggi dell’inno del Tercio: solo l’uomo che non ha terrore è libero.

La Ronde van Vlaanderen, il Giro delle Fiandre, seconda delle 5 grandi classiche del ciclismo, è un’agonia di quasi 270 km, che si corre nelle meravigliose campagne fiamminghe. Perché è un’agonia? Alla fine chiunque di noi ha provato la libertà che da un buon giro in bicicletta in campagna. 

Vero, ma il Giro delle Fiandre di 145 km all’arrivo in poi presenta una caratteristica unica: i muri. Cosa sono i muri? Sono salite, poco più che mulattiere, abbastanza brevi, con pendenze abbastanza arcigne. Per non scontentare nessuno, buona parte delle diciotto scalate avviene sul pavè. Non quello su cui ognuno di noi ha potuto pedalare nelle nostre città. Il pavè dei muri è fatto di ciottoli, cosa che rende difficile pilotare la bicicletta, a causa delle vibrazioni, che porta a disperdere molta energia. Su pendenze che possono arrivare anche al 22%. Se non è un’agonia questa…

La Ronde van Vlaanderen è diventata una vera e propria festa nazionale, tanto è vero che solo la Prima Guerra Mondiale ha interrotto la competizione. Nemmeno durante la Seconda Guerra Mondiale ha tolto ai fiamminghi la voglia di celebrare la loro giornata.

L’albo d’oro è dominato dai belgi, fiamminghi e valloni. Fino al 1948 è stato praticamente un monopolio, salvo un’isolata vittoria svizzera. Il primo corridore a interrompere il dominio belga è un italiano, che verrà conosciuto da ora in avanti come il Leone delle Fiandre. È Fiorenzo Magni, il terzo dei tre grandi del ciclismo italiano dell’immediato dopoguerra. Vince tre edizioni della corsa e lo fa in grande stile: domina la corsa per tre edizioni consecutive, dal 1949 al 1951, ed è il primo a rendersi protagonista di tale exploit. Se la prima vittoria è il frutto di una volata vincente, le altre due saranno delle vere e proprie cavalcate. Nell’edizione del ’51 vince con quasi sei minuti di vantaggio.

Dino Zandegù, vincitore nel 1951

Dopo il ’51, bisognerà attendere sedici anni per incoronare il secondo Leone delle Fiandre italiano. Sarà Dino Zandegù a far sventolare il tricolore a Meerbeke, località di arrivo fino al 2004. Compagno di squadra di Felice Gimondi, verrà mandato all’attacco dal suo capitano per mettere in difficoltà il Cannibale, Eddy Merckx. A resistere al padovano sarà solo un belga, che Zandegù regolerà allo sprint.

Con l’andare del tempo, e con la graduale specializzazione dei ciclisti, saranno, tendenzialmente, i nostri più famosi alfieri delle gare di un giorno a iscrivere il loro nome nell’albo d’oro della battaglia fiamminga. Dopo Zandegù (1967), passeranno ben 23 anni per rivedere un italiano a braccia alzate a Meerbeke. Moreno Argentin aggiungerà anche la Ronde van Vlaanderen alla sua collezione di classiche. E se in 74 edizioni, l’Italia aveva visto solo 5 vittorie, nei 17 anni successivi saranno ben 5 gli azzurri a centrare il successo: Gianni Bugno (1994), Michele Bartoli (1996), Gianluca Bortolami (2000), Andrea Tafi (2001) e Alessandro Ballan (2007). Ultima vittoria azzurra nel 2019. Il toscano Alberto Bettiol, con una progressione a sorpresa sull’Oude Kwaremont, il penultimo muro, a 18 km, è riuscito nell’impresa di presentarsi solo ad Oudenaarde, nuova sede di arrivo della corsa.

Sì, perché con l’andare degli anni, pur rimanendo durissimo, il percorso è stato leggermente modificato. Per esempio la sede di arrivo che, dal 2012, è appunto Oudenaarde, città famosa per essere stata centro di tessitura di arazzi.

Ma se alcune modifiche ci sono state, i protagonisti sono sempre i muri. È vero, in alcune occasioni si è dovuto escludere alcuni muri, anche dei principali, per questioni “logistiche”: bisognava ristrutturare il fondo stradale, dato che il pavè, antico, ha molto bisogno di manutenzione.

L’organizzazione è stata però inappuntabile a fare il possibile per mantenere nel percorso i muri principali.

Il Paterberg, ultima asperità prima dell’arrivo di Oudenaarde. 360 mt, 22% di pendenza

Il più famoso è il Grammont. Detto Muur, il muro, o Kappelmuur, muro della cappella, dato che in cima è posta una splendida cappella, in stile romanico. Un’ascesa di 750 metri, con una pendenza massima del 20% che, fino a che l’arrivo non è stato spostato ad Oudenaarde, è stato lo scenario di molti attacchi che hanno portati da campioni che si sono lanciati verso la vittoria. Da Bartoli a Ballan, per finire con lo splendido duello tra Fabian Cancellara (in maglia di campione svizzero) e Tom Boonen (in maglia di campione belga), nel 2010, in occasione della prima delle tre affermazioni della locomotiva di Berna.

Con il cambio della località di arrivo il Muur è stato relegato a 95 chilometri dall’arrivo. Ma ha trovato un degnissimo sostituto. Il Paterberg. Questo non è come gli altri muri. È giovane, costruito solo negli anni ’80 da un fattore geloso che un suo amico avesse la sua proprietà in prossimità del Koppenberg, altro muro famosissimo, è entrato nel percorso nel 1986, non è mai più stato tolto. Ma com’è questo muro? È un sentiero dissestato, circondato dalle campagne. Spesso i ciclisti sono costretti a pedalare in fila indiana sui lati, dove non c’è il pavè, ma erba e fango. Ed è qui che dal 2012 si decide la Ronde. Viene percorso per tre volte durante la gara, in rapida successione dopo l’Oude Kwaremont ed è una stilettata di 360 metri, con pendenza massima del 22%. Qui Peter Sagan ha dato la spallata definitiva nel 2016 per prendersi, in maglia iridata, la sua prima classica. Proprio dove si era arreso 3 anni prima a Fabian Cancellara, in occasione della seconda vittoria dell’elvetico. In entrambi i casi, un’accelerazione strepitosa, senza alzarsi mai sui pedali, scaricando sul pavè tutta la potenza che era nella disponibilità dei due atleti.

Nemmeno il Covid ha potuto fermare la grande festa fiamminga del Giro delle Fiandre. E nell’edizione 2020 si è assistito al rinnovarsi del duello tra belgi e olandesi, che ha caratterizzato lunghi tratti della storia di questa affascinante corsa. Due giovani leoni. Uno, il belga Wout Van Aert, era reduce dall’aver interrotto il digiuno dei belgi nella Classicissima di Primavera, la Milano-Sanremo. Proveniente dal ciclocross ha dovuto piegare la testa di fronte a un altro ciclocrossista, suo rivale da 5 anni nella specialità: Mathieu van der Poel, che ha portato avanti una tradizione di famiglia. Suo padre Adrie, infatti, ha trionfato nell’edizione 1986 della corsa, la prima con il Paterberg.

La bandiera delle Fiandre rappresenta un leone rampante nero in campo giallo. E per vincere questa corsa bisogna essere indomabili e non conoscere paura. Chi sarà domenica a veder aggiungere la sua impresa all’arazzo del Giro delle Fiandre? Chi sarà il prossimo Leone?

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