UN AMERICANO ALLA CONQUISTA DELL’ITALIA

“Fare grandi cose è difficile, ma comandare grandi cose è ancor più difficile.”

Friedrich Wilhelm Nietzsche

Domenica scenderanno in campo le due squadre di pallacanestro che hanno vinto più volte il campionato italiano: la Pallacanestro Olimpia Milano (28 titoli) e la Virtus Pallacanestro Bologna (15 titoli). 

Entrambe le squadre hanno schierato un gran numero di campioni, alcuni hanno indossato entrambe le maglie. Ma se c’è un uomo che rappresenta questa sfida è un allenatore. Anzi, l’allenatore: il Coach, Daniel Lowell Peterson.

I PRIMI ANNI DI CARRIERA

Nativo dell’Illinois, dopo due lauree inizia la sua carriera da allenatore nel 1962. Per quattro anni assume incarichi da vice, fino al 1966 quando riceve la chiamata dall’Università del Delaware. Ne allenerà la squadra, le Fighting Blue Hens, per 5 anni, lasciando con un record positivo di 69 vittorie a fronte di 49 sconfitte che gli valgono una nomina come miglior allenatore (’71) e due titoli di Lega.

Si trasferisce in Cile, nel 1971, per allenarne la nazionale. Il Cile ha avuto per anni una discreta tradizione cestistica, aiutata dalla forte presenza americana nel paese, viste le concessioni per le miniere di rame acquisite dallo zio Sam. Come in altre circostanze, lo sport fungerà da coadiuvante della politica estera americana, aiutando la penetrazione USA nei paesi.

Poco talento, ma tanta, tantissima grinta nella nazionale cilena. I leader “spirituali” della squadra sono due fratelli, due duri, irriducibili del pressing a tutto campo. I fratelli Arismendi escono dai time out ringhiando che gli avversari non dovranno superare la linea di metà campo e hanno ribattezzato il Coach “El Huevon”, il grande uovo, che può indicare la grande testa, inteso come intelligenza, ma anche altro, diciamo un gran carattere.

L’ARRIVO IN ITALIA

Dan ai tempi della Virtus Bologna

A Bologna, nell’estate 1973, si sta pensando a una rivoluzione in panchina: la società delle V nere vuole un americano sulla panca. Si pensa a Chuck Daly, all’epoca allenatore capo di Penn State, l’Università della Pennsylvania, che vent’anni dopo sarà allenatore capo del Dream Team, la prima nazionale americana formata dal gotha dei professionisti NBA, dopo aver vinto due titoli con i bad boys di Detroit. Qualche corrispondente americano fa ballare un nome convincente: quello di Daniel Lowell Peterson. Che decide di abbandonare il Cile appena in tempo per evitare il colpo di stato del settembre 1973, che gli varrà per anni prese in giro dagli allenatori italiani, che lo appellarono “agente della CIA”1. Al suo arrivo in Italia dimostra immediatamente le sue doti comunicative: già alla presentazione preferisce non parlare in inglese, chiedendo ai giornalisti (di cui impara il nome in men che non si dica) di comunicare con lui in italiano.

Resterà a Bologna fino al 1978, riportando le V nere della Virtus lo scudetto, dopo 19 anni, e vincendo anche una coppa Italia, la prima dei bolognesi, al primo anno in Italia.

LA MILANO DA BERE: DAN E LA BANDA BASSOTTI

Nel 1978, il Coach si trasferisce nella città cui legherà il suo nome: Milano. Diventa head coach dell’Olimpia Milano, la più titolata squadra italiana.

A Milano vincerà parecchio: 4 scudetti, due coppe Italia, una coppa Korac e una Coppa dei Campioni. Soprattutto rivoluzionerà il mondo della pallacanestro italiana.

Dan Peterson, Mike D’Antoni (numero 8) e Bob McAdoo (n.15)

Se a Bologna aveva allenato tanti giocatori di talento, come Marco Bonamico e Jim McMillian, a Milano, complice l’introduzione del doppio straniero, il tasso di talento è impressionante. Avrà a disposizione parecchi ex giocatori NBA, tra cui due ex campioni: Bob McAdoo (due volte, cui si aggiungono il premio di matricola dell’anno, di MVP e il premio di miglior realizzatore, 2 volte) e John Gianelli (campione NBA nel 1973, con i New York Knicks). 

La prima lezione di Dan Peterson è quella di mettere assieme i grandi americani che giocano per lui assieme ai forti italiani che ha a disposizione (su tutti il totem, Dino Meneghin), trovando il corretto amalgama, trovando l’equilibrio tra le sue stelle mettendo da parte totalmente la sua figura: una vera e propria lezione di leadership.

È grazie a questa leadership che compie una delle imprese più importanti del basket nostrano. L’Olimpia, complice qualche infortunio, arriva a capodanno 1982 ultima in classifica. Recuperato però il centro titolare, il totem Dino Meneghin, l’Olimpia mette la freccia: inizia a superare una squadra dopo l’altra, fino ad issarsi al terzo posto in stagione regolare. Grazie a un’altra nuova regola, l’introduzione dei playoff per decidere la vincitrice dello scudetto, anche il terzo posto è sufficiente per entrare nella corsa per il tricolore. Ai quarti batte Brescia, in semifinale Torino, in finale Pesaro, completando una rimonta epica. Per cui bisogna anche ringraziare il playmaker di quell’Olimpia Milano. Se Dan Peterson è il leader in panchina, in leader in campo è Michael Andrew D’Antoni, detto Mike. È arrivato a Milano un anno prima del Coach, proveniente dalla NBA: sotto Dan Peterson diventerà la chiave di volta di molti successi.

È sul genio di Mike D’Antoni che si basa l’attacco di Milano. Il gioco “L” è l’arma che Dan Peterson usa per scardinare le difese avversarie: sul pick and roll2, il lungo che porta il blocco, al posto che attaccare direttamente il canestro, si allontana per un tiro dalla distanza. E i lunghi di Milano hanno praticamente tutti quest’arma in faretra: nella cavalcata ’81-’82, il compagno di bravate di D’Antoni è Gianelli, per uno schema che verrà imitato da tutta Europa.

La difesa del Coach invece si basa sulla squadra. La classica zona 2-33, viene riadattata spostando uno dei due giocatori che giocano nella prima, trasformandola in una 1-3-1. Il cuore di questa difesa, il cui roccioso cuore è Dino Meneghin, unito al talento per il furto di palloni del solito D’Antoni. Diverrà nota come “difesa laser” e molte squadre vi faranno ricorso nel disperato tentativo di ribaltare partite impossibili. Raddoppiando il portatore di palla, Milano recupera molti palloni, dando via al contropiede, in cui Dan Peterson introduce un’altra variante. Imitando quanto fatto dai Boston Celtics con Dave Cowens, centro non molto alto, ma dotato (come i lunghi milanesi) di buon tiro da fuori, e dai Los Angeles Lakers dello Showtime, un lungo segue il contropiede fermandosi all’altezza della riga del tiro libero, per ricevere la palla dal playmaker che ha corso lungo le linee laterali, in modo da anticipare il suo marcatore (più lento) e tirare in solitudine. Grazie a queste due varianti, spesso, l’Olimpia anni ’80, gli anni della Milano da bere, si può permettere di schierare quintetti piccoli, cioè con giocatori più bassi dei loro avversari. Questo per sfruttare un vantaggio a livello di mobilità e velocità: è da qui che nasce il soprannome dell’Olimpia targata Peterson, ovverosia la “Banda Bassotti“.

Queste sono le leve che Dan Peterson utilizza per rivoluzionare il basket nostrano. Fino al 1987. Anno in cui decide di ritirarsi dall’attività di allenatore. Tornerà brevemente sulla panchina meneghina nel gennaio 2011, per traghettare l’Olimpia a fine stagione in un momento di difficoltà. Terminata la stagione 2010-2011 si ritirerà definitivamente.

DOPO IL BASKET

Dan in versione testimonial

Non ha ancora finito però di rivoluzionare lo sport italiano. Passa al lato comunicativo: per anni si siederà al tavolo di commento, iniziando più d’una generazione di tifosi al basket, americano e non. Oltre a ciò si diletta con spot televisivi (famigerato quello di una nota marca di tè freddo) e altri sport americani, ad esempio il wrestling. Sono moltissimi i modi di dire che ci ha regalato in questa veste: il suo “mamma butta la pasta” quando una partita è decisa è ormai parte del vocabolario sportivo italiano.

Oggi fa da consulente aziendale in fatto di leadership: chi se non lui può insegnare a dirigenti aziendali come mettere assieme e far funzionare una squadra vincente?

Arrivato nel 1978, ha legato indissolubilmente il suo nome alla pallacanestro italiana, mettendo radici nel nostro paese.

Dan Peterson è quanto di più vicino a un letterato rinascimentale, multidisciplinare per davvero, poliedrico.

Non poteva essere che l’Italia, il paese del Rinascimento, la patria di adozione di un simile uomo, non siete d’accordo?



1 Il Coach, sull’onda di questo sfottò che lo ha accompagnato nei suoi primi giorni in Italia, interpreterà il ruolo di un agente CIA nella fiction “L’ispettore Coliandro” in una puntata che si svolge proprio a Bologna.

2 Il Pick and Roll è uno schema utilizzato per attaccare una difesa a uomo. Si tratta di una situazione di gioco in cui un giocatore senza palla cerca di creare un vantaggio per il compagno con la palla portando un blocco (Pick), cioè tentando di ostruirne il diretto marcatore. Una volta che il portatore di palla ha superato il suo marcatore, il compagno senza palla (bloccante, in termine tecnico), si muove verso canestro (rolla, cioè taglia).

3 La difesa 2-3, la difesa a zona più comune, si attua posizionando playmaker e guardia (di solito i giocatori più bassi della squadra) nelle immediate vicinanze della linea del tiro da tre, mentre i cosiddetti lunghi, i giocatori più alti (centro e ali) si occupano di proteggere il canestro e gli angoli della propria metà campo. Viene detta zona 2-3 perché i giocatori si posizionano su due linee, la prima di due, la seconda di tre giocatori.

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