GRANDI IMPRESE PER LA ROSA

Grandi cose si compiono quando gli uomini e le montagne si incontrano

Friedrich Wilhelm Nietzsche

La storia del Giro d’Italia è piena di imprese e grandi momenti in montagna. 

Ce ne sono tre che vorrei ricordare in vista dell’edizione di quest’anno. Sono imprese che hanno in sé lo spirito del ciclismo.

Innanzitutto il gioco di squadra. È vero che contano le gambe del capitano, al momento decisivo. Ma un capitano, anche fenomenale, ha bisogno di compagni di squadra che lo supportino, di gregari che lo proteggano e di cui si possa fidare. Bene, in queste tre imprese i gregari hanno svolto proprio questo ruolo, lavorando ai fianchi gli avversari, preparando il terreno per l’assolo del loro capitano.

Perché un capitano sia tale è necessario però che abbia qualcosa in più. Mi riferisco al talento, che un giorno si potrà capire da dove viene, ma che oggi resta qualcosa di insondabile. Il talento deve essere ben supportato. Deve essere affiancato da forza di volontà, capacità di sopportare la sofferenza e i sacrifici che sono necessari per restare al top, nel mondo del professionismo. Serve anche intelligenza, per saper leggere il momento della corsa, saper gestire le pressioni e le chiacchere dei media.

Un altro elemento necessario è la follia. La follia di fondo che distingue i campioni dal resto dei comuni sportivi. Quella follia che permette loro di immaginare e tentare qualcosa di impossibile per gli altri sarebbe impensabile. Qualcosa di così impossibile che fallendo li porterebbe ad annullare il loro talento. Quando però realizzano la loro visione, spesso questa resta nella storia.

Manca solo un elemento, per le nostre storie: lo scenario.

Lo scenario delle nostre storie sono le montagne della Val d’Aosta e del Piemonte, al confine tra Italia e Francia.

2018: UN INGLESE IN ROSA.

Giro del 2018. Un Giro d’Italia dominato dai sudditi di Sua maestà britannica. Fino dai pronostici. Ai nastri di partenza è Christopher Froome a monopolizzare l’attenzione dei media: come potrebbe essere altrimenti? Viene dalla vittoria del Tour de France dell’anno precedente, il suo quarto, dominato. Ha controllato la corsa grazie alla squadra, il Team Sky: uno squadrone nato per controllare e dominare le corse. Compito che svolge alla perfezione. Subito dopo il Tour, ha messo in bacheca la sua prima Vuelta. Era dal 1998, da Marco Pantani, che un atleta non vinceva due grandi corse in un solo anno. Vorrebbe completare la tripla corona, gli manca solo il Giro d’Italia. Sarebbe un’impresa epica: le tre grandi corse a tappe in fila, nel giro di 12 mesi, anche se non in una sola stagione.

La prima parte del Giro è complessa per Chris, detto il keniano bianco, per via della gioventù trascorsa in Kenya, dove è nato. È un altro britannico a dominare la corsa. Simon Yates. Dopo la inusuale partenza in terra d’Israele, al rientro in Italia, Yates si scatena. Prende la Maglia Rosa sull’Etna, arrivando in parata con il compagno di squadra Chaves, cui lascia la vittoria. 

Fromme sfoga la sua gioia sul traguardo di Bardonecchia

Un altro squillo lo mette a segno a Osimo. Cris è in difficoltà. È accompagnato da qualche presa in giro e sfottò. Il Giro è sempre stata considerata la più dura delle tre grandi corse a tappe, e il fatto che Cris non vi abbia praticamente mai preso parte. Viene irriso, si afferma che non sia così forte da tollerare i continui cambi di pendenza tipici dell’Italia centrale. Si afferma che non sia un campione.

Si presenta alla settimana finale con un pesante distacco in classifica generale dal connazionale, più di tre minuti. La prima tappa prevede una delle salite più dure del mondo. Il Monte Zoncolan, con tratti che presentano pendenze oltre il 25%. Chris, risorge. Batte il connazionale Yates, ma è solo di 6 secondi il distacco che riesce ad infliggergli. Soprattutto il giorno dopo Yates si vendica duramente. Vince la sua terza tappa, e Chris perde un minuto e trentadue secondi. A questo punto pare ormai fuori dai giochi per il podio: la Maglia Rosa pare ormai una questione tra il campione in carica, Tom Domulin, e Simon Yates, che verso Prato Nevoso mostra qualche difficoltà.

È qui che però il campione entra in gioco. Non si da affatto per vinto. Ed entra in scena la squadra. Lo sostiene. E prepara il contrattacco. Verso il gran premio della montagna della vetta più alta del Giro, il Colle delle Finestre, mette alla frusta tutto il gruppo. Il fondo di questa salita non è asfalto, ma è sterrato. La fatica per il gruppo è bestiale. Yates si stacca e va alla deriva, perde maglia, podio e Giro. Chris attacca. Mancano 80 km all’arrivo. Li percorre in solitaria, scalando, dopo il Finestre, il Colle di Sestriere e Jafferau, dove è posto l’arrivo. Rifila tre minuti al secondo, si prende Maglia Rosa, Maglia Azzurra (che identifica il miglor scalatore) e zittisce le critiche e le ironie. 

Un’impresa epica.

2016: UNO SQUALO TRICOLORE AZZANNA IL GIRO.

Giro 2016. Il nome del favorito è uno solo. Vincenzo Nibali. Ha la squadra più forte. E il suo palmares è già importante. Ha già vinto tutte e tre le principali corse a tappe, un Giro di Lombardia e due campionati italiani. 

Nibali festeggia sul traguardo di Risoul, dando il via alla sua rimonta Rosa

Ma anche per lui la corsa è complessa. Ed è un outsider a prendere il centro del palcoscenico: l’olandese Steven Kruijswijk si presenta all’ultimo weekend di corsa, sulle Alpi Piemontesi, con tre minuti di distacco sul secondo, il colombiano Estaban Chaves. 

È qui che la squadra di Nibali fa la differenza. Il campione siciliano ha sofferto molto durante tutta la corsa. È staccato in classifica. Ha più di 4 minuti di ritardo dalla Maglia Rosa. La diciottesima tappa parte da Pinerolo, è previsto uno sconfinamento, con arrivo a Risoul, in Francia. Punto di sconfinamento, il colle dell’Agnello, vetta oltre i 2000 metri. Nonostante abbia sempre sofferto in salita, rimanendo staccato dai migliori, Nibali riesce a tenere il passo della Maglia Rosa: passa in vetta con Kruijswijk e Chaves, primo e secondo della classifica generale. 

Ma chi è passato primo sull’Agnello? È un compagno di squadra di Vincenzo. Ha abbandonato i gradi di capitano altrove, per mettersi al servizio dello Squalo. È l’anima del gruppo, coi suoi scherzi, la sua simpatia. Ma è un signor corridore. Anzi era perché purtroppo, nell’aprile del 2017, è mancato in un incidente. È Michele Scarponi, e ha riscritto il significato della parola gregario.

Prima di vedere come c’è un momento che cambia la storia del Giro. Kruijswijk, per tenere il ritmo di Nibali e Chaves, non si è alimentato a dovere. La cima dell’Agnello è fredda innevata. La Maglia Rosa è nervosa. È commette un errore. Sbaglia una curva in discesa e si schianta contro un muro di neve a bordo strada. Danneggia la sua bicicletta e si rompe svariate costole, restando solo all’inseguimento di Nibali e Chaves. 
Qui Michele Scarponi compie un gesto da vero uomo squadra. Rallenta vistosamente, recupera le energie, si fa raggiugere dal suo capitano. E lo scorta fino ai piedi della salita finale. Dove lo Squalo risorge. Stacca tutti, infliggendo un minuto a Chaves. Vince la tappa in maglia di campione italiano.

Ma non è ancora sufficiente per prendere la maglia rosa.

Manca ancora una tappa, che riporterà il Giro in Italia. Da Guillestre fino a Sant’Anna di Vinadio. La squadra aiuta Vincenzo. L’ultimo a spianare la strada al morso dello squalo è proprio Michele Scarponi, che imprime un ritmo durissimo fino al momento buono, quello in cui Vincenzo prende il volo, stacca gli avversari e si prende il suo secondo Giro d’Italia.

1949: UN UOMO SOLO AL COMANDO

L’altimetria della Cuneo-Pinerolo, tappa da leggenda

Riguardo l’ultima impresa si è detto e scritto tantissimo. Il protagonista è il Campionissimo, Fausto Coppi. In Maglia Rosa c’è Adolfo Leoni, un velocista. Ha solo 49 secondi di vantaggio su Coppi, con una tappa con 5 gran premi della montagna è destinato a farsi da parte. Fausto ha quasi 9 minuti di vantaggio sul suo eterno rivale, Gino Bartali. Non sembra avere bisogno di una grande impresa. Gli basterebbe controllare la corsa, controllare il rivale. Eppure un campione non si può accontentare. E allora parte. Ma non attende l’Izoard, la salita più dura e lunga di giornata. Parte sulla prima, il Colle della Maddalena. Non prima di aver fatto lavorare la squadra. Pare abbia detto al suo massaggiatore di preparare un buon rifornimento per i suoi gregari e… una lampadina, perché sarebbero arrivati molto tempo dopo di lui!

Parte a 192 km dall’arrivo. Li percorre in solitaria. Demolisce gli avversari. Rifila quasi dodici minuti al secondo, il solito Bartali. Il terzo è a venti minuti. Il decimo arrivò a Pinerolo dopo più di un’ora.

Questa impresa può essere riassunta dalla citazione della radiocronaca Rai di quella tappa:

UN UOMO SOLO AL COMANDO, IL SUO NOME È FAUSTO COPPI.

Un’impresa epica, restata nella memoria sportiva italiana.

Avremo un’impresa da ricordare anche al Giro 2021? Lo scopriremo a partire da domani.

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