DENNIS RODMAN, ELOGIO DELLA FOLLIA.

“Eppure, ve lo assicura la Follia in persona, uno è tanto più felice quanto più la sua Follia è multiforme.”

Erasmo da Rotterdam

Ieri Dennis Keith Rodman ha compiuto 60 anni. 

Per raccontare la sua ricca esistenza servirebbe un libro. Dennis ci ha anche provato anche se il titolo non so quanto sia azzeccato: Bad as I wanna be, cattivo come voglio essere. Io, se la mia opinione contasse qualcosa, ci avrei messo più che altro strano come voglio essere. 

Cominciamo dall’inizio. Nato in Texas, a Dallas, ha due sorelle. Soldi in casa non molti, anzi estremamente pochi, vive nell’ombra delle sorelle, le classiche ragazze afroamericane con personalità straripante e talento naturale per la pallacanestro (una giocherà anche in Italia). 

È introverso, taciturno, fino all’età di 13 anni si autoconvince, per giustificare le sue difficoltà sociali, di essere gay.

Dopo essere stato rifiutato dal liceo in cui le sorelle giocano si chiude in un silenzio che dura settimane. La madre gli trova un lavoro, all’aeroporto di Dallas: si fa arrestare per un furto di orologi, rubati per farne dono agli amici. Che, fortunatamente per Dennis, li restituiscono, limitando la permanenza di Rodman in galera a 18 ore.

Dopo varie peripezie riesce ad entrare in un’università, anche se non di primissimo livello. Qui si comincia a vedere il suo talento: se la palla è in volo, è roba di Dennis. 

Dennis ai tempi dei Pistons: i capelli sono ancora del colore naturale

In un modo o nell’altro lo nota la NBA. Entra nei Bad Boys di Detroit, i Pistons di fine anni 80 squadra solida, affidata alla guida in campo di Isaiah Thomas e in panchina di Chuck Daly. Fa parte delle guardie del corpo di Thomas e si occupa soprattutto di fermare Michael Jordan, il più pericoloso degli avversari dei Pistons. È il periodo delle Jordan Rules, il sistema elaborato per impedire a Jordan di abusare liberamente della difesa di Detroit: ogni volta che sua ariosità entra nell’area di Detroit, a turno, viene abbattuto da uno dei Pistons. Nel frattempo continua a prendere ogni rimbalzo che gli passa sotto il naso. 

Proprio a Detroit c’è uno degli episodi che ci dice chi è veramente il Verme, soprannome che porta da quando era giovane. Durante una sessione di tiro, Dennis si mette ad osservare i compagni. Quando Thomas gli domanda perché non partecipi, Dennis fa notare che il pallone, quando lo rilascia il play di Detroit, compie 2 giri e mezzo, quindi se il tiro dovesse essere errato potrebbe andare solo in una determinata zona del campo. I compagni guardano quel curioso personaggio, un po’ rissoso che divide lo spogliatoio con loro. Ma non capiscono: ha appena trasformato il rimbalzo da una lotta brutale e casuale sotto canestro, elevandola a qualcosa di più. Come un novello astronomo, osservando il pallone si è messo in grado di prevedere dove il pallone possa cadere.

Due titoli NBA, due volte All Star, due volte miglior difensore NBA e miglior rimbalzista dal 1992 al 1998. A dispetto dell’altezza di soli due metri e zero quattro, che però non gli impediscono di marcare avversari molto più alti di lui. Spesso è il carattere, la durezza di Dennis a fare la differenza. Lo stesso carattere, la stessa durezza che in gioventù le sorelle gli imputavano di non avere, definendolo il cocco di mamma.

È lo stesso carattere, la stessa determinazione e voglia di lavorare che gli hanno fatto guadagnare il rispetto di MJ.

Rispetto però che ogni tanto è traballato, se si vuol essere sinceri.

Dennis ne ha combinate diverse.

Dennis in versione wrestler

Cominciamo dalla prima: Estate 1998. I Bulls stanno giocando le Finali NBA, le ultime per loro, contro gli Utah Jazz. E Dennis si allontana per qualche giorno dalla squadra. Salta anche degli allenamenti.

Problemi familiari? Problemi personali? No. È andato a presenziare a uno show della WCW, federazione di wrestling che, a metà anni ’90, contendeva il primato alla più famosa WWF (oggi WWE). 

Dennis e il wrestling sono un binomio che avrebbe potuto funzionare. Sì perché nel wrestling tutto è eccessivo, tutto è esagerato. Il mondo adatto per un personaggio come Dennis Rodman. Oltretutto anche nel wrestling continua a duellare con Karl Malone, il rivale con cui si sta battendo sotto i tabelloni durante le Finali.

Come mai proprio a Chicago, Dennis ha avuto tutto il margine per far fruttare il suo potenziale? Perché ha avuto da Phil Jackson, il suo allenatore, tutto lo spazio di cui una personalità straripante e istrionica come Dennis ha bisogno. Se Dennis cambiava il colore dei capelli, o si truccava in maniera eccentrica, Jackson lo ignorava. Se vedeva che era un po’ scarico, gli dava qualche giorno di permesso. L’importante era che Dennis tornasse a giocare con impegno al termine del periodo di stacco. Cosa che puntualmente accadeva.

Ho parlato di periodi di permesso? Come narrato nella serie di Netflix, The Last Dance, in uno di questi periodi, Dennis sparì per quasi una settimana a Las Vegas. Fu MJ in persona a doversi recare a recuperare The Worm, trovato in una camera d’albergo dopo bagordi di svariati giorni. Quello che MJ non ha saputo per diverso tempo era che nella camera, nascosta c’era l’allora fidanzata di Dennis, Carmen Electra. Non c’è da stupirsi se è vero che il Verme ha avuto una focosa relazione anche con Madonna. L’inizio di questa relazione è ormai una leggenda pop. Mentre erano in un locale, la pop star più famosa del mondo, visto che il Verme non la degnava della sua attenzione, gli spense una sigaretta sul bicipite. Dennis si girò pronto a un pugno, ma vedendo chi era ad avergli spento la sigaretta sul bicipite, preferì altre opzioni.

Wrestling, donne e… cinema. Ha tentato anche di fare l’attore. Con poca fortuna a dire la verità se è vero che per Double Team, con Jean Claude Van Damme, gli è valso il premio di peggior attore.

Negli ultimi anni è stato anche una sorta di ambasciatore. Dove, in Nord Corea. Già perché il dittatore coreano Kim Jong-un ha una vera e propria venerazione per il Verme. Così negli ultimi anni è stato l’unico americano autorizzato a entrare e uscire dalla Corea del Nord, prendendo anche parte ad esibizioni di pallacanestro. E facendo il giusto numero di gaffe che un simile personaggio può fare.

Da ragazzo e uomo tormentato è passato ad essere un’icona. È arrivato vicino al suicidio più volte, salvo poi presentarsi vestito da sposa alla presentazione del suo libro: voleva sposarsi con sé stesso. Forse è questa la grande lezione che la vita di Dennis può darci. Oltre all’impegno, il divertimento sfrenato, un uomo poliedrico e complesso come il Verme ha imparato ad amarsi. Cosa che sarebbe bene imparassimo tutti quanti.

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