Il derby di Glasgow è la partita in cui si scontrano i due gruppi che compongono la popolazione della città: scozzesi, protestanti e autoctoni, contro irlandesi, cattolici e immigrati. Il Clasico spagnolo oppone i madridisti, nazionalisti rappresentanti l’unità del paese, ai catalani, indipendentisti, che vogliono una patria tutta loro.

Il legame tra football e working class è sempre stato estremamente forte

Non troviamo nulla di tutto ciò nel derby della Working Class londinese. Trovare delle divisioni sociali in West Ham United contro Milwall F.c. è pressoché impossibile.

È anche un derby che non mette a confronto squadre prestigiose e titolate. Delle due, la più titolata è sicuramente il West Ham, che nella sua bacheca ha una Coppa delle Coppe (1964/65) e 3 F.A. Cup (l’ultima risale al 1980) e una Community Shield. Massimo risultato del Millwall è la vittoria in Championship, la serie B inglese, nel 197-1988.

Questo derby però è ammantato da un fascino unico, probabilmente dovuto ai pesanti scontri tra hooligans avvenuti nel corso degli anni. Ci permette però anche di andare alle radici del calcio londinese, nell’epoca vittoriana. Un’epoca fatta di povertà, per la working class. Un’epoca in cui il professionismo era agli albori, in una Londra nebbiosa, con un’aria resa irrespirabile dagli scarichi delle fabbriche.

I LEONI DELL’ISOLA DEI CANI

Le stesse fabbriche di cui le squadre, spesso, erano il dopo lavoro. I primi a nascere sono i leoni di Millwall, che vedono la luce sul finire del 1800, sulla Isle of Dogs (di cui Millwall è un distretto), uno scoglio nel centro del Tamigi, dove ha aperto i battenti la succursale londinese di una fabbrica di conserve scozzese, la C.& E. Morton & Co. Nata ad Aberdeen nel 1849, ha fornito provviste a Robert Scott e Ernest H. Shackelton, famigerati esploratori britannici, più volte viaggiatori attraverso il Polo Sud. Le origini scozzesi della squadra dell’Isola dei Cani sono evidenti dal colore della maglia del Millwall: da più di 120 anni il colore principale delle divise dei leoni è lo stesso blu della croce di Sant’Andrea scozzese. Inoltre il primo capitano è stato scozzese, nativo di Dundee. Sono i lavoratori della fabbrica a creare il Millwall Rovers, denominazione originale, poi evolutasi in Millwall Athletic. 

Murales a Millwall: i leoni ruggiscono comunque

L’Isola dei Cani, poi, è un luogo in cui i nomi sono già sufficientemente indicativi: la banchina sotto la Morton, infatti, si chiamava Sufference Warf: denominazione adatta alle molte sofferenze patite dai tifosi dei Lions.

Nonostante sia una delle squadre più antiche di Londra, che ha ottenuto anche qualche buon risultato nelle prime competizioni giocate tra fine ottocento e inizio novecento, non è stata tra le fondatrici dei campionati nazionali patrocinati della F.A, la Football Association, la federazione calcio inglese. Il Millwall infatti è rimasto a lungo nelle leghe dilettantistiche e semi professionistiche che fiorirono a Londra tra la fine dell’800 e i primi del novecento. Solo nel 1920 è entrata nella Football League, come fondatrice della terza lega. Questo è uno dei motivi del carente palmares dei Lions, unitamente alle zone di nascita, non certo le più chic di Londra. Prima di entrare nella Football League, però, i Lions avevano già trovato la loro casa. The Den, lo stadio di proprietà del Millwall, venne edificato nel 1910, restando invariato fino agli anni 90, quando fu demolito e ricostruito (The New Den) a seguito delle leggi contro gli Hooligans volute da Margareth Tatcher. Il nuovo stadio però non ha comportato un trasferimento eccessivo rispetto al primo Den. È stato inferiore al chilometro lo spostamento, rimanendo estremamente vicino alla zona originaria della Isle of Dogs.

UP THE IRONS

La nascita del West Ham è differente. Non sono stati infatti i dipendenti di una fabbrica a fondare la squadra, bensì Arnold Hills, proprietario della Thames Ironworks & Shipbuildings Society: una ferriera e cantiere navale londinese. Da qui vengono i tre soprannomi che accompagneranno la squadra nella sua storia. Hammers, martelli, lo strumento più utilizzato dai rivettatori nella costruzione delle navi, effigiato nello stemma attuale. Dockers, portuali, per il cantiere navale e il lavoro di scarico di ferro dalle navi che attraccavano sul Tamigi. E, infine, Irons, quelli del ferro, vista l’attività di ferriera della fabbrica fondatrice. Oggi, oltre alla famosa “I’m Forever Blowin Bubble”, inno ufficiale della squadra, si sente spesso nelle partite del West Ham, Come on you Irons.

I Martelli, simbolo della Working class, a ricordare le origini degli Hammers, sventolano allo Stadio Olimpico, nuova casa del West Ham

Di certo, delle due è la più nobile e conosciuta. Innanzitutto, delle due, è quella che di certo ha passato più tempo nel massimo campionato britannico. Ha anche avuto più partecipazioni alle coppe europee. Con una vittoria, nella Coppa delle Coppe del 1964-1965. Coppa alzata da quello che sarà l’unico capitano della nazionale inglese a sollevare la Coppa del Mondo: Bobby Moore. Sir Bobby Moore, colonna degli Irons dal 1958 al 1974. Ma non è l’unico degli Irons che nel 1966 fece le fortune dell’Inghilterra calcistica. Tutti e quattro i gol della finale contro la Germania, infatti, furono realizzati da giocatori degli Hammers: Martin Peters (1) e Geoff Hurst (3). 
Il West Ham è sempre stato più quotato, forse per una buona serie di partecipazioni alle coppe europee e una certa stabilità nella presenza nel massimo campionato inglese, pur senza mai laurearsi campione. Ha avuto anche giocatori di una certa fama: oltre ai tre citati Campioni del Mondo del 1966, si pensi a Frank Lampard, poi bandiera del Chelsea per tanti anni, Joe Cole, tanti anni colonna della nazionale inglese, fino agli argentini Tevez e Mascherano solo per citare i più famosi degli ultimi anni. Sulle “imprese” dei suoi tifosi sono stati anche pubblicati libri, come “Congratulazioni, hai incontrato la I.C.F” di Cass Pennant, che narra le vicende, a cavallo tra anni ’70 e ’80, della Inter City Firm, uno dei gruppi che componevano la tifoseria degli Hammers.

E avuto una buona dose di attenzioni dal cinema, ad esempio con Green Street Hooligans, film con Elijah Wood, già Frodo nella trilogia del Signore degli Anelli. Nel film la GSE, Green Street Elite, è proprio ispirata alla ICF e si svolge proprio durante il periodo che precede uno scontro in F.A. Cup tra West Ham e Millwall.

LA RIVALITÀ

Solo il Tamigi, di fatto, divide le zone di riferimento delle due squadre dell’East End londinese, uno (forse l’ultimo) quartieri a base operaia

Ma perché tra queste due squadre corre questa forte, fortissima rivalità? Si sono scontrate anche relativamente poco, visto che il West Ham al massimo è caduto in Championship, la serie B inglese. Mentre il Millwall, salvo due, rarissime, apparizioni in Premier, ha militato tra Championship e campionati sottostanti.

C’è chi ha azzardato una presunta divisione politica: Millwall più nazionalista, più a destra (i suoi tifosi sono in contatto con i Rangers di Glasgow, anche se tra questi il gruppo più acceso si chiama, curiosamente, I.C.F), West Ham più a “sinistra”. Divisione però che regge poco e sembra un tentativo sui generis di categorizzare le due tifoserie per spiegare la rivalità.

Leggenda vuole che la pietra dello scandalo sia uno sciopero, tra gli anni ’20 e ’30, che una delle due tifoserie (in base alle versioni sarebbe stato uno sciopero voluto dagli Irons dai Lions, o viceversa) che una delle due tifoserie avrebbe boicottato. Versione però smentita da più parti.

Secondo Pennant sarebbe un confronto per stabilire quale delle due tifoserie era la più dura a essere alla base della rivalità tra le due squadre. Il tutto sarebbe partito dai pesanti scontri nel maggio 1972, in occasione di una gara amichevole tra Millwall e West Ham (il cui primo confronto diretto risale al 1895, 6 a 0 per i Lions), in occasione della partita di Harry Cripps, bandiera del Millwall.

Nemmeno le leggi contro gli Hooligans sono riuscite a contenere la rivalità tra Lions e Irons

Quale che sia la ragione originaria della rivalità, rivela un forte senso di appartenenza al proprio quartiere. È questo senso di attaccamento al quartiere e ai colori della maglia della propria squadra a contraddistinguere le due tifoserie. Molto più visibile per quel che riguarda il Millwall. A dispetto degli scarni risultati i tifosi del Millwall e la società stessa hanno sempre dimostrato attaccamento per la loro “zona”. Impegnandosi per renderla migliore, con la società, ad esempio, a implementare programmi per aiutare i numerosi immigrati presenti nelle vie adiacenti lo stadio, ove vivono numerose minoranze che continuano a parlare la loro lingua madre, o i programmi per migliorare i servizi sanitari per gli abitanti della Isle of Dogs, Millwall e delle zone attorno al New Den. Che, come detto, il Millwall ha fatto di tutto per tenere vicino alla sua zona di origine. A differenza, a dire il vero, del West Ham che abbandonato il suo vecchio impianto, il Boleyn Ground ad Upton Park, in favore del nuovo stadio Olimpico, dalla parte opposta della città, nella zona legata più al Leyton Orient, un’altra delle innumerevoli squadre londinesi.

È proprio nell’attaccamento al quartiere e alla maglia, ai propri colori, che si trova la radice di un derby tra due comunità sostanzialmente identiche, operaie. 

Ed è proprio quell’aspetto che il calcio, tra miliardi e superleague varie, sta andando a perdere. In favore di squadre senza una vera e propria identità, senza tifosi veri, sanguigni, ma con tifosi di plastica, meri consumatori. Un calcio in cui è difficile riconoscersi, cui è difficile affezionarsi.

Che è lontano dalla mentalità di Hammers e Lions. E per questo, Dio non deve salvare la regina. Ma il Derby della Working Class londinese.

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