SUPPORT YOUR LOCAL FOOTBALL TEAM

Parlare del binomio calcio mondiale soldi è diventato abbastanza banale, un argomento trito e ritrito. 

Certo è che nel mondo del calcio si sono viste delle gestioni, da parte di presidenti vulcanici, che hanno portato squadre o sull’orlo del fallimento o al fallimento vero e proprio.

Basti pensare al nostro paese: Parma, Fiorentina, Lazio e Roma. E stiamo pensando solo al massimo campionato. Quante sono le società che sono state fatte fallire da presidenti allegri nella gestione economico/finanziaria del club?

Parte di queste società sono ripartite, passando vari anni disgraziati prima di tornare al livello pre fallimento.

POMPEY SUPPORTERS TRUST

Parlando di soldi e calcio ci sono due casi inglesi che risultano altamente interessanti.

Il punto più alto della storia recente del Portsmouth F.c.: la F.A. Cup sollevata nel 2008

Il primo è quello del Portsmouth F.C. Portsmouth è una città portuale del sud est dell’Inghilterra, nel Hampshire. Porto importante, viene ricordata per essere il porto di partenza delle forze britanniche per la guerra delle Falklands. La squadra locale ha avuto il suo periodo d’oro a fine anni 40, laureandosi due volte consecutive campione d’Inghilterra. Dopo di che ha vivacchiato fra la second e la third division, equivalente di serie B e C, tornando in Premier League nei primi anni 2000. Stagione d’oro dei Pompeys (soprannome della squadra) è quella del 2007-2008: ottavo posto in Premier League e vittoria in F.A. Cup, con qualificazione all’ultima edizione della coppa Uefa. La squadra era più che dignitosa: in panchina Harry Redknapp, tra i giocatori in campo due ex Gunners come Nwankwo Kanu (ex Inter e medaglia d’oro olimpica ad Atlanta ’96 con la Nigeria) e Sol Campbell, assieme a Sulley Muntari, Milan Baros (campione d’Europa nel 2005 con il Liverpool), Lassana Diarra (che avrebbe lasciato la squadra alla volta del Real Madrid) e Niko Kranjcar, per anni colonna della nazionale croata. Vero alcuni erano giocatori in la con gli anni, ma le basi c’erano: nel giro di 5 anni però, il Portsmouth si troverà in League Two, l’equivalente della nostra vecchia serie C2. Perché?

È successo che il proprietario, il franco-israeliano Alexandre Gaydamark, si è reso conto che, per mantenere quanto ottenuto e, magari, migliorarlo, confrontandosi con le grandi forze della Premier sarebbe stato necessario un ulteriore, ingente, esborso economico, contraendo ulteriori debiti, che avrebbe peggiorato la situazione debitoria del club, già problematica.

Decise così di cedere il club: iniziò un walzer di presidenti, che peggiorarono una situazione già grave, fino all’assurdo: a pochi giorni dall’inizio della stagione 2012-2013, che avrebbe portato la squadra a retrocedere in League Two, punto più basso della sua storia, non erano disponibili nemmeno 11 giocatori da mandare in campo! I giocatori sarebbero stati reperiti, con un mix di giovani inesperti e veterani. Ma la misura era colma.

Così i tifosi Pompey hanno festeggiato l’acquisizione da parte del trust della loro squadra

Nel 2009 era stato fondato il Pompey Supporter Trust, un ente, no profit, il cui scopo era tutelare i tifosi vista la situazione del club. Il trust iniziò a raccogliere fondi tra i suoi duemila e trecento membri, chiedendo donazioni minime di cento sterline. Raccolti due milioni e cinquecentomila sterline, il trust riuscì ad acquistare il 51 % delle azioni del club, mentre il 49% venne acquistato dagli undici tifosi più facoltosi. Era l’aprile del 2013. All’inizio della stagione successiva, in League Two, i tifosi festeggiarono la loro squadra, che non avevano mai abbandonato, con lo stadio sempre gremito a dispetto delle difficoltà, con una coreografia che diceva semplicemente “OURS”, cioè nostro.

Il trust gestì il club fino al 2017, quando ottenne la promozione in League One, vincendo il campionato. Il club venne quindi ceduto all’ex dirigente Disney Michael Eisner, che ha tenuto il club nelle zone alte del terzo campionato britannico, entrando per 2 anni nei playoff, venendo però eliminato in semifinale. Ha vinto anche un EFL Trophy, un trofeo riservato ai club di League One e Two. Nell’ultima stagione si è piazzato ottavo, finendo fuori dai playoff per soli due punti. Non male per una squadra che era praticamente certa del fallimento e che si trova in un campionato molto combattuto, visto che è in buona compagnia con altre “nobili decadute” come Sunderland, Ispwich, Wigan e Wimbledon.

Il trust è rimasto però a vigilare sulla buona gestione del club. Sperando che il club possa tornare più in alto, perché questi tifosi lo meritano!

I DON’T HAVE TO SELL MY SOUL

Maggio 2005. Il Manchester United, squadra storica del calcio inglese, prima ad aver portato nella nazione dei maestri la Champions League, è quotato presso la Borsa di Londra. Una famiglia americana lancia la scalata.

È letteralmente l’inizio di una guerra che dura da 16 anni.

Malcom Glazer, patriarca della famiglia proprietaria del Manchester United e dei Tampa Bay Buccaneers della NFL, scomparso nel 2014

La scalata della famiglia Glazer ha successo: un’operazione da 1,47 miliardi di euro, scaricandoli sulle casse della società di Manchester. Questo tipo di operazione, definita in gergo finanziario leverage, in parole povere un’operazione finanziaria in cui si acquista una società facendo leva sulle capacità di indebitamento della società stessa: di fatto i Glazer non hanno messo un centesimo (o quasi) nello United, usandolo per trarne benefici economici personali.

Praticamente la squadra viene vista come rubinetto da cui prendere soldi: oltre agli utili derivanti dalla loro posizione azionaria, si sono anche assegnati uno stipendio. Si calcola che i Glazer hanno drenato circa 2 miliardi di dollari. 

Anche perché lo United è una delle prime 5 squadre al mondo per ricavi commerciali, cioè quelli derivanti da sponsorizzazione, da attività collaterali (ad esempio derivanti dall’apertura di scuole calcio brandizzate in giro per il mondo) e dalla vendita di merchandising: come riferimento, nel 2014, lo United metteva a bilancio 518 milioni di Euro di ricavi, di cui 236 commerciali. Buona parte di questi veniva reinvestita nella gestione della società, fin qui nulla di male. Il problema è che la situazione debitoria è cresciuta a dismisura: se sono 2 i miliardi che la famiglia ha incassato dalla proprietà dello United, la società ha contratto una media di cento milioni di euro di debiti l’anno.

Una macchina da soldi e nulla più, visto che oltretutto i Glazer non si sono, praticamente, mai visti allo stadio.

Per racimolare liquidità, i Glazer hanno anche riportato lo United in borsa. Non più Londra, ma New York. Vorrebbero piazzare le azioni sul mercato a un prezzo tra 16 e 20 dollari ad azione, gonfiando così il valore della società da 1,47 miliardi di euro fino a più di tre miliardi. La commissione di vigilanza americana blocca la speculazione, fissando il prezzo di vendita a 14 dollari. Vengono reperiti circa 190 milioni di euro, metà dei quali sono finiti nelle casse dei Glazer, l’altra metà ha ridotto sensibilmente i debiti a bilancio, allora fissati a 453 milioni di euro.

Ovviamente la famiglia americana ha visto nella Superlega una nuova opportunità: sia per ulteriori guadagni sia per ridurre la situazione debitoria della società.

Fin qui la gestione di cui è vittima il Manchester United: qual’è invece la posizione dei tifosi?
I tifosi hanno sempre contestato duramente la gestione Glazer, indipendentemente dai risultati. A partire dal 2010 la rabbia dei tifosi è diventata incontenibile. Innanzitutto si sono visti sugli spalti dell’Old Trafford tornare i colori giallo e verde. Sono i colori della società progenitrice dello United, il Newton Heat. L’idea è quella di non acquistare più merchandising ufficiale, in modo da “danneggiare” la proprietà. Sono così apparse le sciarpe con la scritta Die, Glazers Die. L’ultima protesta, a seguito delle vicende relative alla Superlega, ha portato alla sospensione di United-Liverpool, valida per la Premier League (aprile 2021).

Broadhurst park, casa dello United of Manchester, costruito, in perfetto stile inglese, con i soldi raccolti tra i tifosi stessi

Un’altra parte dei tifosi, fin dal 2005, ha deciso di intraprendere una via diversa per testimoniare la sua opposizione alla gestione Glazer.

Hanno infatti fondato uno “United alternativo”: lo United of Manchester. È probabilmente la prima e unica squadra nata da tifosi, per i tifosi, in opposizione a una gestione affaristica. Lo United of Manchester ha ottenuto dei risultati di rilievo. Innanzitutto sul campo: partito dalla decima serie del calcio inglese nel 2005, si è issato fino alla sesta, prima di retrocedere e stabilizzarsi in ottava. Ma è riuscito a costruirsi una casa sua: Broadhurst park, nel quartiere di Monston, parte settentrionale di Manchester. L’impianto può contenere 4.400 persone ed è costato 6,2 milioni di sterline, reperiti tramite una raccolta fondi (cinquecentomila) e la cessione di quote del club, che ora ha ben tremilacinquecento soci. La squadra, come ciliegina, vede anche almeno duemila persone l’anno sottoscrivere l’abbonamento alle partite casalinghe, una cifra mostruosa per la categoria!

Quello dello United of Manchester è un esempio. Di più, è un urlo d’amore verso il calcio del passato, fatto meno di soldi e più di passione. Soprattutto, vista la direzione assunta dal mondo del calcio, circondato da affaristi e personaggi senza scrupoli di varia natura, è un modello che un domani potrebbe essere seguito in molte altre città in giro per l’Europa. Un modo per riportare il calcio vicino alla gente, lontano da procuratori e presidenti che vedono nelle società null’altro che il proverbiale deposito di Zio Paperone, da alleggerire di una parte del suo carico di soldi. Un modello che può riportare i tifosi veri a sentire la passione, la voglia di recarsi allo stadio, che torni ad essere ciò che è sempre stato e non un centro commerciale senz’anima frequentato da clienti, senza passione, in cerca solo di una storia da postare sui social.

Perché, parafrasando Johann Crujff, non si è mai visto un sacco di soldi segnare un gol.

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