ENTRARE NELLA STORIA… DALLA PARTE SBAGLIATA

Sono tante le squadre o gli sportivi entrati nella storia dalla porta sul retro verrebbe da dire: non da vincenti, ma da battute.

Nel calcio basta pensare alla grande Ungheria dei primi anni ’50, la squadra d’Oro, o all’Arancia Meccanica, l’Olanda del 1974. Entrambe, tra l’altro, battute, da favorite, dalla Germania. 

Se si pensa al basket Nba, in periodo di finali, viene subito in mente una squadra: gli Utah Jazz degli anni ’90. A tutti gli effetti una dinastia, basata su 3 uomini, che ha avuto la sfortuna di trovare sulla sua strada sempre squadre o più forti o più ispirate di loro.

I primi due tasselli arrivano in Utah nel 1984.

Jerry Sloan (1942-2020), capo allenatore degli Utah Jazz dal 1988 al 2011

Innanzitutto il coach: Jerry Sloan. Nativo dell’Illinois, per 10 anni, dal ’66 al ’76, è stato giocatore dei Chicago Bulls, che hanno ritirato il suo numero 4 nel 2012. Immediatamente dopo aver smesso come giocatore diventa assistente allenatore e, dopo due anni (nel 1979), diventa allenatore capo a Chicago. Nel 1982 lascia i Bulls per arrivare, dopo due anni, ai Jazz. Prima è assistente di Frank Layden, allenatore dal 1981 al ’88. Nel 1988 è proprio Sloan a sostituire Layden.

Il suo è un basket vecchia scuola, a basso ritmo, con grande attenzione per la difesa. Il basket ideale per sfruttare al meglio le doti dell’altro tassello arrivato nel 1984. Il playmaker, enfant du pays, John Stockton. Fisicamente normodotato, un metro e ottantacinque per soli settantanove chili, non molto atletico, realizzatore nella media (poco più di tredici punti a partita di media in carriera, su circa 1700 partite), ma un computer al posto del cervello. Un computer che gli ha permesso di avere sempre sotto controllo ogni partita in cui è sceso in campo, costruendo gioco e fornendo assist in attacco, rubando palloni giocando in anticipo sulle linee di passaggio in difesa. Ha chiuso la carriera con due record che sono destinati a restare imbattuti per molto tempo. È primo ogni epoca, a livello Nba, per quanto riguarda assist e palle recuperate. Ha messo a referto ben 15.806 assist nelle sole partite di stagione regolare (non contano quelli ai playoff): sono quindi 10,5 assist a partita in 1.504 incontri. Il secondo, Jason Kidd (non uno qualunque), ne ha messi a segno 12.091, tremila in meno. Per trovare un giocatore ancora in attività in questa classifica bisogna scendere al quinto posto con Cris Paul: è però improbabile che ci avvicini troppo visto che Paul, ormai trentaseienne, è lontano più di 5000 assist da Stockton. Praticamente questi due record (assist e palle rubate) equivalgono al record mondiale del salto in lungo, nell’atletica, che regge dalla fine degli anni ’60.

Giocatore freddo, sempre sotto controllo, è stato anche pilastro della Nazionale Americana. Prima è stato membro del Dream Team del 1992, giocando nonostante una lieve frattura alla tibia, poi play titolare nel 1996. Due Olimpiadi, due ori, sempre imbattuto, grazie alla sua freddezza si è portato a casa anche i palloni delle due finali olimpiche.

Tutto ciò nonostante fosse stato praticamente snobbato al draft 1984, quello di Jordan e Olajuwon, in cui venne scelto alla sedicesima posizione da Utah, restandoci per praticamente vent’anni, fino al 2003.

L’era “Stockton to Malone” in una foto: John Stockton, Karl Malone e Jerry Sloan. Sullo sfondo Mark Eaton, gigante di 224 cm, centro e ottimo difensore, recentemente scomparso

Se Stockton ha fornito quasi sedicimila assist, una buona parte del merito è dell’altro pilastro dei Jazz in campo. Scelto, alla quindicesima posizione, nel 1985, ala grande proveniente dalla Louisiana, ha indossato la maglia numero 32 dei Jazz dall’85 al 2003: è Karl Malone. Se Stockton ha aumentato esponenzialmente il suo numero di assist, lui ha segnato veramente tanto. È il secondo ogni epoca per numero di punti realizzati, dietro solo a Kareem Abdoul-Jabbar. Giocatore fisico, con ottimi fondamentali in post basso, è stato spesso contestato per le sue posizioni: fu uno dei giocatori ad esporsi contro il ritorno in campo di Magic Johnson, positivo all’HIV. Nonostante questo è stato due volte MVP della lega e due volte nazionale (con Stockton).

Il feeling tra i due, sul campo, era così ben sviluppato che gli anni ’90 sono conosciuti, per Utah, come l’era “Stockton to Malone”: il pick and roll tra i due era quasi immarcabile.

Attorno ai due leader, un buonissimo cast di supporto. Da Bryon Russel, entrato nella storia per essere il giocatore battuto da Michael Jordan nel suo ultimo tiro ai Chicago Bulls, nella gara 6 delle finali 1998, a Jeff Hornacek, buonissima guardia tiratrice arrivata nel 1994, fino a Greg Ostertag, centro difensivo che aiutava Malone sotto i tabelloni.

Cosa è mancato allora a questa squadra per vincere?

Come dicevo ha avuto la sfortuna di trovare sulla sua squadra o squadre più forti, magari solo per una stagione.

NBA Finals 1998: MJ vince gara 6 e titolo, dopo aver battuto dal palleggio Bryon Russell, uccidendo le speranze di Utah di giocarsela a Gara 7.

Il loro score ai playoff è di tutto rispetto, e rispetto. Tra il 1990 e il 2000 sono arrivati in finale di conference, ad ovest (di fatto la semifinale Nba), ben 5 volte. Hanno perso nelle prime tre occasioni. Sono stati prima i Portland Trail Blazer a batterli, nell’era di Clyde Drexler, poi gli Houston Rockets futuri campioni di Hakeem Olajuwon e, infine, i Seattle Supersonics del duo Payton-Kemp. Nel 1997, finalmente, vincono le finali di conference. Sulla loro strada però trovano il Re, sua ariosità Michael Jordan e i suoi Chicago Bulls. I Jazz oppongono una fiera resistenza, ma non c’è nulla da fare contro il Re, che nelle finali del 1997 mette a segno una delle più grandi prestazioni di sempre, giocando dopo una notte insonne a causa di un’intossicazione alimentare, dominando nonostante condizioni fisiche insostenibili per un normale essere umano.

Ci riprovano l’anno successivo, ma il Re non ne vuol sapere di abbandonare la corona da battuto. Nonostante i Jazz arrivino più vicini di chiunque altro a battere i Bulls in una finale Nba, devono cedere in 6 gare, grazie sempre a imprese del più forte giocatore di basket di ogni epoca.

Probabilmente avrebbero perso le finali Nba anche nel ’92 e nel ’96, dato che chi li ha sconfitti (Blazer e Supersonics) trovarono sulla loro strada lo stesso loro ostacolo: i Bulls, imbattibili, degli anni ’90.

L’epoca di Stockton e Malon è al crepuscolo e ritrovano sulla strada i Trail Blazers. Due eliminazioni in semifinale di conference pongono di fatto termine all’epoca doro del team dello Utah.

Nel 2003 se ne vanno Stockton e Malone. Il primo si ritira, il secondo tenta un’ultima stagione ai Lakers, per provare un’ultima volta a vincere l’anello, senza riuscirci, diventando uno dei pochi giocatori ad aver vinto l’MVP Nba senza però vincere il titolo.

Coach Sloane smette nel 2011, dopo aver perso un’altra finale di conference, nel 2009, contro i Lakers di Kobe Bryant. Jerry Sloan è mancato nel 2020, a seguito di una lunga malattia.

Come mai allora una squadra che non ha mai vinto il titolo è così celebrata? Da un lato c’è il fascino dei battuti, che accomuna Jazz, Ungheria e Olanda. Dall’altro il basket vecchia scuola, pulito ma duro, di una squadra che non si arrendeva mai, nemmeno davanti alle opere d’arte di MJ. Una durezza mentale rara, di una squadra che è rimasta ad alto livello per dieci anni, grazie a due pilastri rari da trovare, soprattutto alle posizioni di secondo piani in cui sono stati scelti e a un coach competente, mai sopra le righe. 

Una squadra come ormai non ne fanno più.

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