Il cammino dell’Eroe: l’ascesa

Senza tema di smentite, è possibile affermare che gli sportivi moderni siano gli eredi degli Eroi dell’antica Grecia.
Il loro talento ne fa dei predestinati, ai quali in linea di massima sarebbe sufficiente tenere la barra del timone dritta per lasciare un segno indelebile nella storia dei rispettivi sport.
Ma la loro natura, che rimane umana, fa sì che ad alcuni accadda di cadere: vuoi per un grave infortunio, vuoi per cattive frequentazioni, foriere di pessime abitudini. A volte bastano scelte che sulla carta parrebbero sensate, ma vengono effettuate nel momento sbagliato.
Dopo la caduta, abbiamo visto grandi atleti che riescono a rialzarsi, a lasciarsi alle spalle le difficoltà e ad uscirne temprati, persino più forti di prima; come ne abbiamo visti molti altri che semplicemente si perdono, magari perché non sono abbastanza forti caratterialmente, oppure perché le avversità sono più grandi di loro. Quest’ultima potrebbe essere la sinossi della storia di Alex Schwazer, talentuosissimo marciatore altoatesino.

Per buona parte, la storia di Alex sembrebbe abbastanza banale, per così dire. Nativo di Vipiteno, fin dalla giovane età si segnala per una certa predisposizione per le discipline che richiedono fondo. Il suo nome balza agli onori delle cronache nel 2005, quando Schwazer, a poco più di vent’anni, si laurea campione italiano della marcia, distanza 50 chilometri, la disciplina forse più massacrante che l’atletica leggera abbia da offrire, anche più della maratona.
Gli atleti, infatti, oltre alla distanza, che richiede forza mentale, capacità di concentrazione e gestione dello sforzo, devono gestire anche la tecnica. La marcia ha regole rigidissime, che possono portare anche alla squalifica, nel caso in cui l’atleta non rispetti la tecnica di “corsa”.

Subito dopo il campionato italiano, sempre nel 2005, conquista la medaglia di bronzo ai Mondiali di Helsinki, sempre nella 50 chilometri. Oltre a segnalarsi anche al pubblico internazionale, firma il primato italiano, in 3 ore, 41 minuti e 54 secondi. Primato che migliorerà, abbassandolo di più di 5 minuti, sempre ai campionati italiani.

Nel 2007 è nuovamente bronzo al Mondiale, questa volta a Osaka. Sono passate alla storia le sue parole all’arrivo: estremamente arrabbiato dopo una furibonda rimonta nel finale non portata a termine sui primi due classificati, ormai irraggiungibili, disse:

“Sono felice anche se mi rendo conto che avrei potuto davvero vincere. Onore a loro che mi hanno battuto, ma dentro di me so che sono più forte, che posso rovesciare questa classifica. È stata una grande lezione, oggi ho imparato cose che nessun allenamento può insegnare, cose che spero mi tornino utili all’Olimpiade”.

A 22 anni Alex era in rampa di lancio, anche se dimostra qualche limite tattico, ma l’anno dopo arriva l’apice della sua carriera. Il 2008 è anno olimpico e lui dimostra di non aver parlato a sproposito. È il grande favorito e a Pechino domina, tagliando il traguardo in lacrime in 3h 37 minuti e 9 secondi, primato olimpico.
Alex ha 23 anni ed è indubbiamente l’atleta più forte al mondo nella sua specialità. Potenzialmente ha di fronte a sé un lungo dominio nel corso della sua carriera, magari anche nella gara più breve, la 20km. Ma, si sa, è quando un eroe è all’apice del suo successo che arrivano le tentazioni, che rischiano di farlo cadere.

Stando a quanto Alex, con una sincerità disarmante, ha recentemente raccontato nella serie Netflix incentrata sulla sua vicenda, i problemi iniziano quando la sua vittoria lo porta sotto la luce dei riflettori. Luce che si accende anche a causa del fatto che l’atleta altoatesino ha una relazione sentimentale con un’altra atleta sua conterranea, la pattinatrice sul ghiaccio Carolina Kostner. Iniziano gli spot televisivi e le ospitate in diversi programmi televisivi. Sono gli sponsor degli sport meno seguiti, la coppia d’oro dello sport italiano. E Alex soffre tutte queste attenzioni, questi impegni extra sportivi. Gli impegni lo soffocano, lo stressano.

Il campione altoatesino si sente male, non riesce ad allenarsi come vorrebbe.
Nel 2009, ai mondiali di Berlino, si ritira dopo solo mezz’ora dal via della sua gara. Nascono i dubbi, non sa come e cosa fare. Nel 2010 è argento a 28 secondi dal russo Emel’janov, anche se in realtà quella gara Alex non l’ha persa: il russo verrà squalificato per irregolarità nel passaporto biologico. In altre parole, per doping.
Beh, Schwazer riferisce che già nel dopo gara, lo stesso vincitore gli confessò di essersi dopato. È la goccia che fa traboccare il vaso.
Alex fatica ormai da due anni, ed è appena stato battuto da un atleta che fino a poco tempo prima nemmeno poteva pensare di seguire il suo passo. La famiglia dell’altoatesino è preoccupata per il suo pessimo stato d’animo e teme che il germe della depressione possa portare Alex a commettere qualche gesto irreparabile.
E qui, Alex cade. Prende una decisione che cambierà per sempre la sua vita, anche se lui, in quel momento, non sa fino a che punto.
Ed è da qui che ripartiremo per la seconda parte di questa storia, tra una settimana.